Il contatto con l’esterno è uno degli elementi fondamentali dell’opera di reinserimento sociale che lo stato si è impegnato a garantire alle persone detenute. Il mantenimento dei rapporti con i familiari, i conviventi e le persone care, rappresenta non solo un diritto inviolabile della persona ristretta, ma soprattutto un elemento del trattamento “rieducativo”.
Il terzo comma dell’art.27 della carta costituzionale afferma che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Tale principio deve essere letto in combinato con l’art. 1, comma 2 della legge sull’Ordinamento penitenziario, il quale afferma che “il trattamento tende, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale ed è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni degli interessati”.
L’art. 28 dell’Ordinamento penitenziario, infatti, recita: “Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie”.
La Costituzione riconosce la centralità della famiglia e tutela i diritti dei suoi appartenenti (artt. 2, 29,30,31). Nel mondo penitenziario questa affermazione si traduce nella garanzia del mantenimento delle relazioni tra le persone ristrette e le famiglie. L’art. 28 dell’Ordinamento penitenziario, infatti, recita: “Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie”. La norma interna deve essere letta alla luce dei principi sovranazionali, enunciati sia dalle regole penitenziarie europee, sia dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
L’art. 24 delle regole penitenziarie europee riporta: “i detenuti devono essere autorizzati a comunicare il più frequentemente possibile – per lettera, telefono o altri mezzi di comunicazione – con la famiglia, con terze persone e con i rappresentanti di organismi esterni, e a ricevere visite da dette persone”; “le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali”. Anche la Corte EDU in numerose sentenze ha rappresentato la centralità del contatto delle persone detenute con il mondo esterno. In Olsson v. Sweden e Messina v. Italy, ha ribadito il diritto dei detenuti alla vita familiare, condannando le restrizioni ingiustificate imposte dai governi su tali contatti. La Corte ha chiarito che le restrizioni devono essere proporzionate e limitate al minimo necessario per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico, come sottolineato in Van der Ven v. the Netherlands.
Tuttavia, ha anche sottolineato che gli stati godono di un certo margine di discrezionalità nel prendere misure volte a mantenere la sicurezza e l’ordine nelle carceri. Nonostante ciò, la Corte ha sempre richiamato gli Stati membri al loro dovere di favorire il reinserimento sociale dei detenuti, agevolando i contatti familiari e sociali, come sancito in Iovchev v. Bulgaria e Other v. Regno Unito.
Dopo aver delineato i principi, è essenziale analizzare in che modo vengono concretamente applicati nel nostro ordinamento giuridico. La definizione delle modalità concrete con cui si realizzano i contatti tra persone ristrette e realtà esterna è rimessa al D.P.R. n. 230/2000. Il Regolamento Penitenziario, all’art. 39, concede una telefonata a settimana, della durata di dieci minuti, e tendenzialmente solo con i familiari, tenendo fuori amici e tutte le persone terze. In merito ai colloqui, l’art.37 afferma: “I detenuti e gli internati usufruiscono di sei colloqui al mese. Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del primo comma dell’articolo 4-bis della legge e per i quali si applichi il divieto di benefici ivi previsto, il numero di colloqui non può essere superiore a quattro al mese”.
Nel corso del 2023 l’Osservatorio di Antigone ha visitato 99 Istituti penitenziari, tra i dati rilevati vi sono anche i contatti con l’esterno.
Partendo dai colloqui in presenza, che garantiscono un contatto diretto tra le persone ristrette e i propri cari, si evince che solo in 20 Istituti sono svolti da oltre tre quarti delle persone detenute. Tra questi, alcuni degli istituti con il più alto tasso di sovraffollamento, la Casa Circondariale “Francesco Rucci” di Bari, con un tasso pari al 168,5% e la Casa di reclusione di Vigevano con un tasso di sovraffollamento del 157,5%. In 10 istituti, invece, svolgono regolarmente colloqui in presenza solo un quarto dei detenuti. Un altro dato rilevato dall’Osservatorio riguarda il giorno in cui si svolgono i colloqui, un elemento importante per facilitare la partecipazione dei familiari e dei cari che lavorano o vanno a scuola è che il colloquio si svolga durante il fine settimana.
Gli istituti in cui non si svolgono colloqui durante il fine settimana sono 7, tra cui possiamo citare i due istituti più popolosi tra quelli visitati: la Casa circondariale di Roma Rebibbia NC e di Napoli Poggioreale.
Nel 2023, nel 62,5% degli istituti visitati i colloqui si svolgono sia il sabato che la domenica, dato in miglioramento rispetto al 2022, quando la percentuale era pari al 49,5%. Invece, gli istituti in cui non si svolgono colloqui durante il fine settimana sono 7, tra cui possiamo citare i due istituti più popolosi tra quelli visitati: la Casa circondariale di Roma Rebibbia NC e di Napoli Poggioreale.
Sul tema dei colloqui è opportuno sottolineare che l’emergenza pandemica da COVID-19 ha imposto, a tutela del diritto al mantenimento dei rapporti familiari, l’introduzione di forme di comunicazione a distanza. Infatti, già nel 2019 con una circolare il DAP ammetteva l’utilizzo, in via sperimentale e solo per il circuito di media sicurezza, di piattaforme informatiche per lo svolgimento di colloqui nella forma di videochiamata, in sostituzione dei colloqui in presenza. Durante la pandemia ’impossibilità di svolgere colloqui in presenza e al contempo l’esigenza di favorire i contatti con l’ambiente esterno per non acuire il senso di straniamento, hanno comportato l’estensione dell’accesso alle videochiamate come forma di colloquio a distanza a tutte le persone ristrette. Il DAP con alcune circolari nel pieno dell’emergenza pandemica si è impegnato a garantire i colloqui a distanza e ad implementare il numero delle telefonate anche in deroga a quanto previsto dal regolamento penitenziario.
Con la Circolare 3696/6146 del 26 settembre 2022, l’allora capo DAP Carlo Rainoldi ha disposto la stabilizzazione dell’utilizzo delle video chiamate come modalità alternativa rispetto ai colloqui in presenza e ne ha esteso l’utilizzo a tutti i circuiti penitenziari.
Nel 2023, i dati raccolti dall’Osservatorio di Antigone evidenziano un aumento nell’uso dei colloqui a distanza rispetto al 2022, sebbene tale utilizzo sia notevolmente inferiore rispetto al 2021, periodo in cui l’emergenza sanitaria legata al COVID-19 era ancora in corso.
Nel 2022 nel 32% degli istituti visitati venivano svolte videochiamate da oltre tre quarti delle persone detenute, nel 2023 la percentuale è salita al 39%.
Nel 2022 nel 32% degli istituti visitati venivano svolte videochiamate da oltre tre quarti delle persone detenute, nel 2023 la percentuale è salita al 39%. Si tratta evidentemente di una modalità che può essere sostenuta dagli istituti e che riesce a garantire ai familiari che con difficoltà aderirebbero ai colloqui in presenza di non perdere i contatti con i propri cari in stato di detenzione.
Al contrario di quanto accaduto con le videochiamate, dove si è assistito ad un’apertura dell’Amministrazione, dal 31 dicembre 2022 i colloqui telefonici sono tornati alla disciplina pre pandemica (d.l. 228/2021). L’art.18 dell’Ordinamento penitenziario e l’art. 39 del regolamento penitenziario riconoscono alle persone detenute una telefonata a settimana della durata massima di 10 minuti e, ai detenuti per i reati previsti dal primo periodo del primo comma dell’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, due colloqui telefonici al mese.
Nel corso dell’emergenza da COVID 19, la Legge n. 70 del 2020 ha previsto la possibilità di concedere autorizzazioni per i colloqui telefonici, escludendo i detenuti sottoposti al regime dell’articolo 41-bis dell’Ordinamento Penitenziario, oltre i limiti stabiliti dal regolamento penitenziario. Le Direzioni degli istituti potevano autorizzare tali colloqui fino a una volta al giorno, specialmente quando la comunicazione telefonica coinvolgeva figli minori, figli maggiorenni con gravi disabilità, coniuge, partner di unione civile, convivente stabile o altra persona con legame affettivo significativo.
In molti continuano a sottolineare la necessità di ampliare il numero delle telefonate concesse alle persone detenute, tra cui il Ministro Nordio che, a fronte dell’elevato numero di suicidi, ha in più occasioni annunciato l’aumento a 6 colloqui telefonici.
L’Osservatorio di Antigone ha registrato una notevole riduzione delle chiamate straordinarie, eccedenti il limite di 4 previsto dal regolamento penitenziario.
Tuttavia, l’Osservatorio di Antigone ha registrato una notevole riduzione delle chiamate straordinarie, eccedenti il limite di 4 previsto dal regolamento penitenziario. Questo nonostante la richiamata circolare del 26 settembre 2022 abbia chiarito che le Direzioni degli istituti hanno un’ampia discrezionalità nell’autorizzare colloqui telefonici che superano il numero stabilito dalla normativa. Dai dati è emerso che nel 2022, nel 36% degli istituti visitati oltre tre quarti dei detenuti effettuava telefonate straordinarie, mentre nel 2023 solo nel 19% degli istituti. Sono raddoppiati rispetto al 2022, inoltre, gli istituti in cui nessun detenuto è autorizzato a svolgere chiamate straordinarie.
Antigone ha in più occasioni sostenuto la necessità di ampliare il numero dei colloqui telefonici, utili e in alcuni casi fondamentali, per garantire un contatto con la realtà esterna e supportare le persone ristrette in condizioni di fragilità.
In conclusione, si auspica un intervento legislativo tempestivo che aumenti sia il numero che la durata delle telefonate, e che soprattutto garantisca uniformità tra tutti gli istituti penitenziari sul territorio nazionale.