Per qualunque cosa i detenuti hanno bisogno che qualcuno si attivi per loro. E, di conseguenza, se questo qualcuno non c’è, sarà impossibile soddisfare i loro bisogni in maniera adeguata
Il personale
Una delle cose che più spesso si sentono lamentare, quando si parla di carcere, è la carenza di personale. Se ne lamentano soprattutto i sindacati di polizia penitenziaria, con riferimento chiaramente al personale di polizia stesso, e la loro notevole capacità di mobilitazione e la loro forza comunicativa fanno si che questo problema diventi, assieme al sovraffollamento, uno dei pochi che tutti conoscono quando si parla di carcere.
Ma, come peraltro il sovraffollamento, anche la carenza di personale è una questione articolata, e in questo caso i numeri dicono con chiarezza che, quando si parla di personale, la carenza di polizia non è peraltro il dato più allarmante.
Il carcere è infatti una comunità del tutto particolare. I suoi “ospiti” vi sono detenuti 24 ore su 24, solitamente per molti anni, e in condizioni di autonomia molto limitata. Per qualunque cosa – salute, formazione, disbrigo pratiche, accesso al welfare, tanto per fare degli esempi – i detenuti hanno bisogno che qualcuno si attivi per loro. E, di conseguenza, se questo qualcuno non c’è, o non c’è in misura sufficiente, sarà impossibile soddisfare questi bisogni in maniera adeguata, e la marginalizzazione sociale e la povertà di chi esce dal carcere saranno uguali, o maggiori, di quando vi sono entrati. E così anche il rischio di recidiva cresce.
Ma tutto questo ovviamente non può essere fatto solo dalla polizia penitenziaria, che non ne ha le competenze né il mandato. Un carcere fatto solo di polizia è un carcere che abdica a priori alla sua funzione rieducativa e di reinserimento sociale, e per questo motivo iniziamo la nostra rassegna del personale proprio partendo da figure diverse dal personale di polizia.
Nel corso delle visite svolte da Antigone nel 2021 abbiamo rilevato come solo nel 49% degli istituti penitenziari fosse presente per così dire un direttore “a tempo pieno”
Il direttore
Iniziamo dal vertice della struttura amministrativa dell’istituto, ovvero dal suo direttore. La figura del direttore, o della direttrice, in un carcere è fondamentale. É infatti responsabile del coordinamento di tutte le aree dell’istituto, della gestione amministrativa della struttura e del suo personale, e delle attività che in istituto si svolgono, incluse tutte quelle che riguardano i detenuti. In ultima istanza praticamente tutto dipende dal direttore e quando il direttore non c’è, o non è in condizione di fare il suo lavoro, nella migliore delle ipotesi tutto si ferma.
Ma dunque questi direttori ci sono o non ci sono? Nel corso delle 96 visite svolte dall’Osservatorio di Antigone nel 2021 abbiamo rilevato come solo nel 49% degli istituti penitenziari fosse presente un Direttore responsabile solo di quell’istituto, per così dire un direttore “a tempo pieno”. Come sempre si tratta di un dato medio, ed in Lombardia ad esempio avevano un proprio direttore a tempo pieno 5 istituti visitati su 6 mentre in Sardegna in nessuno dei 7 istituti visitati c’era un direttore incaricato in via esclusiva.
Ovviamente sarebbe almeno auspicabile che siano gli istituti più piccoli, o quelli meno problematici, a non avere un direttore a tempo pieno, ed in effetti spesso è così, ma le eccezioni sono molte.
Non hanno un direttore a tempo pieno ad esempio il carcere di Firenze “Sollicciano”, con 655 presenze al momento della nostra visita, e per molti aspetti uno degli istituti più problematici del paese. O Cagliari, con 557 presenti, o Biella, con 462. Mentre avevano un direttore a tempo pieno ad esempio il carcere di Massa Marittima, con 38 presenze, quello di Vallo della Lucania, con 44, o quello di Pistoia, con 48 presenti. Le ragioni di queste incongruenze immaginiamo possano essere molteplici e magari anche plausibili, ma gli esiti restano inaccettabili. E temiamo che anche l’arrivo dei nuovi 45 direttori per i quali al momento è in corso la selezione possa non essere una risposta sufficiente, specie se si considera che nel frattempo continua lo stillicidio dei pensionamenti, essendo ormai passati più di 20 anni dall’ultimo concorso.
Negli istituti visitati da Antigone il 75% non aveva un vice-direttore, ne abbiamo incontrati 30 in tutto
Ma a fronte di questa carenza di direttori è possibile quanto meno fare affidamento su una pattuglia adeguata di vice-direttori? La risposta purtroppo è no, la figura del vice-direttore è ormai in via di estinzione. Negli istituti visitati da Antigone il 75% non aveva un vice-direttore, ne abbiamo incontrati 30 in tutto, e anche in questo caso la loro distribuzione è a volte sorprendente.
Non c’era un vice-direttore a Parma, un istituto con 687 presenze, di cui peraltro 62 al 41bis, o a Taranto, che con 619 è uno degli istituti più affollati d’Italia, o a Pavia con 586 presenti e moltissimi problemi. Ma ce ne sono addirittura 2 a Civitavecchia (447 presenti) e 2 a Frosinone (512 presenti). E abbiamo trovato 1 vice-direttore a Trani, un istituto con 42 presenti, e 1 a Bolzano, che ne conta 107. Anche in questi casi è difficile capire la logica di queste allocazioni.
Riteniamo però sia utile ribadire l’importanza di queste figure. Il carcere è un’organizzazione complessa da un punto di vista amministrativo, responsabile di una gamma enorme di attività e di centinaia, a volte migliaia, di persone, alcune delle quali, i detenuti, dipendono dal carcere in tutto e per tutto. Che una struttura simile resti senza vertice, anche solo per brevi periodi, è scellerato.
Nel caso di un ospedale, una scuola o un comune, per quanto piccolo, ci parrebbe inaccettabile. In carcere accade invece troppo di frequente.
Nelle visite del 2021 abbiamo trovato in media un educatore ogni 83 detenuti, davvero pochi se si pensa per quante cose ciascuno di questi detenuti avrebbe bisogno di un educatore.
L’educatore
Altra figura essenziale per la vita degli istituti, ed in particolare per il percorso trattamentale dei detenuti, è quella dei funzionari giuridico pedagogici, spesso noti come educatori. Con un organico previsto di 896 unità, sono ad oggi 733 i funzionari effettivamente presenti negli istituti penitenziari.
Nelle visite che l’osservatorio di Antigone ha svolto nel 2021 ne abbiamo trovati in media uno ogni 83 detenuti, davvero pochi se si pensa per quante cose ciascuno di questi detenuti avrebbe bisogno di un educatore. Non sono infatti solo i detenuti definitivi, per cui è in corso la “osservazione scientifica della personalità”, ad averne bisogno. Gli educatori non “servono” solo per accedere alle misure alternative. Collaborano anche alla progettazione di tutte le attività dell’istituto, scolastiche, formative, sportive e ricreative, e cercano di rispondere ai molti bisogni dei detenuti, definitivi o meno che siano. Non a caso se si guarda alle sole case di reclusione visitate da Antigone nel 2021, 19 in tutto, la media scende di poco, arrivando ad 80 detenuti ogni educatore.
Più significative, come si vede sotto, sono le discrepanze nella distribuzione degli educatori tra le regioni italiane
Complessivamente nei 20 istituti più “ricchi” di educatori ce n’era in media uno ogni 31 detenuti. Nei 20 più “poveri” uno ogni ogni 152.
La carenza pare più grave al nord e non a caso alcune delle situazioni più drammatiche si registrano proprio nel norditalia. A Treviso abbiamo trovato un solo educatore in servizio per 188 detenuti, aiutato un collega presente in istituto per due giorni alla settimana, mentre a Busto Arsizio c’era un solo educatore assegnato ed effettivamente in servizio per i 360 detenuti presenti, da poco tempo coadiuvato da un collega distaccato da Santa Maria Capua Vetere. Ma la situazione non è molto migliore nel già citato carcere di Firenze “Sollicciano”, dove c’era un educatore ogni 164 detenuti, e ancora peggio a Bari, dove i 2 educatori in servizio avevano in carico 220 detenuti ciascuno.
Come sempre, a compensare queste carenze, si trovano situazioni difficilmente comprensibili. E sono moltissime. Abbiamo ad esempio trovato 2 educatori a Massa Marittima, uno ogni 19 detenuti, 2 ad Isernia, uno ogni 23 detenuti, 4 a Vasto, uno ogni 25 presenti, 3 a San Cataldo, uno ogni 26 reclusi, e 2 a Varese e a Piazza Armerina, in entrambi i casi un educatore ogni 32 detenuti.
Complessivamente nei 20 istituti più “ricchi” di educatori ce n’era in media uno ogni 31 detenuti. Nei 20 più “poveri” uno ogni ogni 152. Una differenza nella distribuzione di circa cinque volte che appare francamente ingiustificabile.
Gli agenti
Se confrontata con i numeri visti sopra, la situazione del personale di Polizia Penitenziaria appare, quanto meno ad un primo sguardo, meno allarmante. Negli istituti che abbiamo visitato c’era in media un agente ogni 1,6 detenuti, ed anche la sperequazione tra le aree geografiche del paese appare minore.
Sembrano esserci meno agenti nel centro Italia, ma come detto le differenze sono più contenute. Restano situazioni eccezionali, come ad Ancona “Montacuto”, istituto con 327 detenuti presenti in cui c’è un agente ogni 2,7 detenuti, o Poggioreale a Napoli, con 2.190 presenze il carcere più grande d’Italia, dove c’era un agente ogni 2,7 detenuti, o Frosinone, 512 presenti, dove c’era un agente ogni 2,9 detenuti.
E ci sono ovviamente anche le solite isole felici. A Pordenone, al circondariale di Padova, a Pistoia, ad Arezzo, ad Ascoli Piceno e a Lanusei ad esempio c’erano addirittura più agenti che detenuti.
Nei 20 istituti con più personale di polizia c’era in media un agente ogni 1,1 detenuti. Nei 20 con meno personale un agente ogni 2,3 detenuti.
Ma il confronto fatto sopra per gli educatori risulta per gli agenti meno scioccante. Nei 20 istituti con più personale di polizia c’era in media un agente ogni 1,1 detenuti. Nei 20 con meno personale un agente ogni 2,3 detenuti. Una differenza superiore al doppio, comunque sorprendente, ma pur sempre meno di quella del quintuplo, registrata facendo lo stesso confronto con gli educatori.
Sono numeri che parlano chiaro, quanto meno per un aspetto: nelle carceri italiane la figura veramente indispensabile è quella dell’agente di polizia. I direttori possono esserci o meno, i vice-direttori sono del tutto opzionali, e anche quando gli educatori sono in grave sotto organico in qualche modo si tira avanti. Ma la polizia penitenziaria non può mancare, quantomeno non troppo, e le grandi disparità non sono tollerate. Al di là della retorica del reinserimento sociale, che permea ogni momento della comunicazione pubblica dell’amministrazione penitenziaria, il personale delle nostre carceri è fatto essenzialmente di polizia, ed eccessive sperequazioni nella sua distribuzione non sono tollerate. E questi dati, più di tante parole, la dicono lunga su quali sono le priorità del nostro sistema penitenziario.
Altrettanto significativo il fatto che, come detto sopra, quando si parla di carcere due sono i temi che vengono più spesso citati. Da un canto quello del sovraffollamento, che abbiamo provato a problematizzare nel capitolo dedicato ai numeri, e dall’altro quello della carenza del personale di polizia. E anche su questo pare opportuno dire qualcosa.
Rispetto alla distribuzione tra istituti, certamente ci sono disparità e situazioni di maggiore carenza, ma come abbiamo visto sono disparità meno significative rispetto ad altre figure professionali. Ci sono “vuoti” di direttori o di educatori che dovrebbero suscitare molto più allarme.
La media dei pesi del Consiglio d’Europa è di un agente ogni 2,4 detenuti e nell’UE hanno più personale di polizia dell’Italia solo le carceri dell’Irlanda.
Tanti o pochi?
Ma al di là del tema della distribuzione, resta quello dei numeri assoluti del personale. Gli agenti di polizia penitenziaria sono davvero pochi? E gli educatori? Ed i direttori?
Su questi ultimi ci pare non ci sia molto da dire. L’assenza di un direttore a tempo pieno, in qualunque istituto, si commenta da sola, ma anche in numeri degli educatori, uno ogni 83 detenuti, appaiono del tutto inadeguati. Riescono a vedere, e a conoscere, i detenuti, davvero poco, anche perchè sono moltissimi gli adempimenti amministrativi e burocratici a cui gli educatori sono tenuti e che li trattengono in ufficio. Ci auguriamo davvero che le 201 nuove unità di personale previste arrivino presto e riescano a fare la differenza.
In ogni caso, allo stato attuale, la situazione del personale di polizia penitenziaria appare meno drammatica. Distribuito in maniera meno disomogenea consente di avere in media, dalle nostre rilevazioni, un agente ogni 1,6 detenuti. Un numero che a prima vista non appare allarmante. Anche l’ultima edizione delle Statistiche penali annuali del Consiglio d’Europa riporta il nostro stesso dato, 1 agente ogni 1,6 detenuti, che nel confronto con gli altri paesi appare un dato tutt’altro che preoccupante. La media dei pesi del Consiglio d’Europa è di un agente ogni 2,4 detenuti e nell’UE hanno più personale di polizia dell’Italia solo le carceri dell’Irlanda. Ne hanno quanto noi la Svezia ed i Paesi Bassi e tutti gli altri ne hanno meno.
Ma i dati del Consiglio d’Europa ci dicono anche altro. In Italia gli agenti di polizia rappresentano l’83% del personale dell’amministrazione penitenziaria, in Irlanda sono il 73%, in Svezia il 64%, nei Paesi Bassi addirittura il 52%. É dunque vero che questi paesi hanno tanto personale di polizia quanto ne abbiamo noi, o nel caso dell’Irlanda anche di più, ma al tempo stesso hanno molto più personale in generale, a partire dai dirigenti e dal personale impegnato nelle misure di comunità, e proseguendo con educatori e formatori, ed in proporzione il personale di polizia è meno che da noi.
Abbiamo più agenti di polizia penitenziaria degli altri sia in rapporto ai detenuti, sia in rapporto al resto del personale
Da questo punto di vista l’italia è un caso quasi unico. Nell’Unione Europea solo la Bulgaria ha, in rapporto al resto del personale, più polizia penitenziaria dell’italia.
Il quadro che ne esce è chiaro: abbiamo più agenti di polizia penitenziaria degli altri sia in rapporto ai detenuti, sia in rapporto al resto del personale. Come questo si giustifichi è difficile da dire, probabilmente c’entra il ruolo assolutamente centrale che i sindacati di polizia penitenziaria hanno assunto nel tempo nella vita degli istituti e nella gestione del sistema della esecuzione delle pene.
Ma parlare di carenza di personale di polizia penitenziaria con questi numeri appare a questo punto davvero complicato.