dal 2014 al 2021 sono stati 5.625 complessivamente (ovvero in entrambe le forme sopra menzionate) i provvedimenti con controllo elettronico.
Il braccialetto elettronico può venire impiegato in diversi modi come strumento di controllo all’interno del sistema penale. Può venir imposto dal magistrato a persone che si trovano in misura cautelare agli arresti domiciliari oppure a persone già condannate che stanno scontando la pena in detenzione domiciliare. All’interno di quest’ultimo insieme, può essere prescritto come controllo continuativo, anche durante la permanenza in casa, oppure da indossare solamente in quei momenti della giornata in cui la persona ha il permesso di allontanarsi dall’abitazione.
Se guardiamo alla sola esecuzione della pena in detenzione domiciliare, dal 2014 al 2021 sono stati 5.625 complessivamente (ovvero in entrambe le forme sopra menzionate) i provvedimenti con controllo elettronico.
Una vera impennata si registra nel 2020 (quando si passa a 2.605 provvedimenti dai 251 del 2019), anno nel quale il decreto cosiddetto Cura Italia per far fronte all’emergenza sanitaria ha ampliato – seppur con molte cautele – la possibilità di accesso alla detenzione domiciliare con l’ausilio del controllo elettronico, promettendo di mettere a disposizione circa 5.000 dispositivi, di cui 920 immediatamente. Già in calo i numeri del 2021, che vedono 1.897 applicazioni. Nel complesso possiamo dire che il braccialetto ha forse favorito la concessione di qualche centinaio di provvedimenti di uscita dal carcere, ma di certo non ha prodotto effetti deflattivi su larga scala.
Per quanto riguarda invece le imposizioni del braccialetto elettronico durante la misura cautelare degli arresti domiciliari ex art. 284 e art. 275-bis (introdotto dal decreto legge 341/2000, convertito dalla legge 4/2000) del codice di procedura penale, esse sono state 2.618 nel 2020, 2.753 nel 2019 e 2.840 nel 2018. Una percentuale che si attesta intorno al 3% del totale delle misure cautelari coercitive in Italia e al 12% del totale degli arresti domiciliari.
Nel 2020, ad esempio, il braccialetto elettronico è stato imposto nel 3,2% dei 82.199 provvedimenti cautelari coercitivi emessi complessivamente nell’anno e nell’11,9% degli 21.949 arresti domiciliari totali. Ancora in quell’anno, il Gip ha usato la misura del braccialetto elettronico percentualmente di più del giudice dibattimentale (il primo nel 3,5% delle misure cautelari coercitive da esso imposte, mentre il secondo nel 2,1%).
Guardando ai dati territoriali relativi ai cinque maggiori tribunali capoluogo, scopriamo una discreta differenza rispetto all’utilizzo del braccialetto elettronico in fase cautelare.
Ancora riferendoci all’anno 2020, è interessante guardare alle applicazioni di misure cautelari coercitive in procedimenti che si sono definiti all’interno del medesimo anno (31.455, il 38,3% del totale delle misure emesse). Su queste, gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico hanno pesato per il 3,8%, essendo stati 1.189. Nel 7,4% di tali casi si è arrivati a un’assoluzione. Nel 7,1% si è arrivati invece a una condanna (definitiva o no) con sospensione condizionale della pena, ovvero per reati di non grande allarme sociale, per i quali l’ulteriore forma di controllo del braccialetto elettronico appare eccessiva. In realtà già i soli arresti domiciliari senza braccialetto (8.899 tra i procedimenti definiti entro l’anno, con sospensione condizionale della pena nel 12,4% dei casi) escono dal perimetro tracciato dall’art. 275, comma 2-bis, del codice di procedura penale, secondo il quale “non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena”.
Un tema a parte è quello dei costi, che interroga intorno alla convenienza ed effettività della misura. Dopo alcune traversie iniziali con Telecom e costi elevatissimi, nel 2018 a seguito di una procedura di gara europea Fastweb si è aggiudicato l’appalto per fornire nel triennio 2018-2021 circa 1.000 braccialetti al mese per una cifra di circa 23 milioni di euro complessivi. In realtà le attivazioni sono state ben inferiori, ma ciò sarebbe dipeso dalle decisioni delle autorità giurisdizionali competenti.
La domanda da porsi è quella sull’effettiva capacità delle forme di controllo elettronico di incidere significativamente sulle presenze in carcere. D’altronde l’esperienza inglese ci ha mostrato come il controllo elettronico con braccialetti e cavigliere non abbia prodotto effetti di deflazione penitenziaria, ma abbia piuttosto contribuito alla crescita complessiva del numero di persone soggette a controllo penale. Qualche tempo fa il governo inglese stimava che ogni anno sarebbero circa 70.000 le persone sottoposte a sorveglianza elettronica. Un numero impressionante che non ha determinato una riduzione nel numero di detenuti. Inghilterra e Galles ospitano circa 80.000 detenuti, con un tasso di detenzione pari al 132% (132 detenuti ogni 100.000 abitanti), uno tra i più alti d’Europa e ben più elevato di quello italiano. I 100 milioni di sterline spesi ogni anno per il controllo elettronico non hanno influito significativamente sull’affollamento delle carceri e sui tassi di detenzione. Si è invece allargata a dismisura l’area del controllo penale, fino a occupare spazi di tradizionale pertinenza dei servizi sociali. Si pensi che il governo inglese investiva per il monitoraggio elettronico – una misura tipica del controllo di massa, con forti rischi di spersonalizzazione – circa il 10% del budget previsto per la probation e le sanzioni di comunità. Secondo un’indagine a campione fatta qualche anno fa dalle autorità inglesi, il 22% delle persone sottoposte a sorveglianza elettronica avrebbe commesso violazioni non gravi della misura, mentre il 37% sarebbe stato responsabile di violazioni qualificate come gravi. Non è chiaro però se si tratti di reati o di inosservanza, magari reiterata, delle prescrizioni. Non è facile dunque dire se il braccialetto elettronico sia utile o meno ai fini dell’abbassamento dei tassi della recidiva. Possiamo tuttavia affermare che là dove la misura ha preso piede non ha prodotto una riduzione dei numeri carcerari, ma è andata invece a sostituirsi a provvedimenti penali che probabilmente sarebbero stati meno restrittivi, aggiungendo un tassello repressivo al sistema piuttosto che contribuendo a deflazionarlo.
In Italia mancano indicazioni intorno all’efficacia del braccialetto elettronico, quali dati sulle violazioni della misura e sulla recidiva. Non aiuta a tal fine una risposta del Ministero degli Interni, Direzione Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici e della Gestione Patrimoniale, che di fronte a una domanda di accesso civico generalizzato promossa da Antigone non ha voluto fornire le informazioni richieste. Si chiedeva di conoscere il numero di dispositivi elettronici attualmente a disposizione dell’Autorità giudiziaria, il numero di quelli attualmente in utilizzo per provvedimenti di arresti domiciliari e di detenzioni domiciliari, il numero di dispositivi non funzionanti, eventuali manomissioni o trasgressioni della misura del braccialetto elettronico, il numero di braccialetti elettronici utilizzati per il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Il Ministero ha negato le informazioni sostenendo che la pubblicazione delle stesse avrebbero configurato un “pregiudizio concreto alla tutela degli interessi-limite inerenti alla sicurezza pubblica e all’ordine pubblico tutelati dall’articolo 5-bis, comma 1, lettera a) del ‘decreto trasparenza’”. Non è affatto facile intravedere un legame tra i dati richiesti e i motivi di sicurezza addotti. Una risposta dunque del tutto non convincente, che sembra configurare solamente un’inutile mancanza di trasparenza.