Secondo i dati pubblicati dal Dap, nell’anno appena passato 61 persone si sono tolte la vita all’interno degli istituti di pena italiani.
Oltre all’elevato valore in termini assoluti, il dato da considerare per un’effettiva descrizione del fenomeno è la relazione tra il numero di suicidi e il numero di persone detenute mediamente presenti nel corso dell’anno. Nel 2020 tale tasso è risultato significativamente superiore agli anni passati, attestandosi a 11 casi di suicidio ogni 10.000 persone.
Fonte: nostra elaborazione su dati Dap
Dietro ogni caso di suicidio possono esservi molteplici fattori, endogeni ed esogeni. Oltre a componenti personali, numerosi possono essere gli elementi esterni che contribuiscono ad acuire situazioni di pregressa sofferenza soprattutto in un ambiente complesso come quello carcerario.
Il tasso di suicidi costituisce ovviamente uno dei principali indicatori di malessere del sistema penitenziario. Osservandone l’andamento nell’ultimo decennio, vediamo come dopo i livelli raggiunti tra il 2010 e il 2012 il tasso di suicidi registra un sensibile calo tra il 2013 e il 2016 per poi ricominciare bruscamente a salire nel 2017 fino a raggiungere il suo massimo nel 2020.
Sebbene non si possa delineare una netta correlazione tra il numero di suicidi e le condizioni di detenzione delle carceri italiane, guardando tali dati non può non notarsi come la tendenza a crescere e diminuire del tasso di suicidi rifletta il generale clima penitenziario del periodo.
Negli anni a ridosso della sentenza Torreggiani, vediamo infatti come insieme alla riduzione del tasso di sovraffollamento e quindi al raggiungimento di più dignitose condizioni di detenzione, anche il tasso di suicidi fosse notevolmente calato. Quando nel 2017 gli effetti della riforma hanno cominciato a perdere la loro iniziale portata, il tasso di suicidi è invece tornato malauguratamente a salire superando anche i livelli raggiunti prima del 2013.
Nell’anno passato, il tasso è continuato a crescere arrivando a raggiungere 11 suicidi ogni 10.000 persone mediamente presenti: erano quasi vent’anni che non si registrava un numero così alto.1) Secondo i dati pubblicati dal Dap, si tratta infatti del dato più alto dal 2001 quando il tasso di suicidi era pari a 12,5 ogni 10.000 persone mediamente presenti negli istituti di pena.
I dati sul 2020 confermano tale tendenza. Nell’anno passato, il tasso è continuato a crescere arrivando a raggiungere 11 suicidi ogni 10.000 persone mediamente presenti: erano quasi vent’anni che non si registrava un numero così alto. Sicuramente il 2020 non è stato un anno come gli altri, soprattutto all’interno degli istituti di pena. Nonostante la riduzione della popolazione detenuta, disposta in via straordinaria per arginare la diffusione del virus, altri fattori hanno contribuito a rendere più difficile del solito la vita in carcere. Fra questi, in primis, il distacco ancora più netto con il mondo esterno e i contatti ancora più rari con i propri cari, entrambi fonte di un grande sentimento di marginalizzazione già di per sé dilagante nella vita da reclusi.
In considerazione di tutto ciò, risulta quindi assai difficile interpretare come una semplice coincidenza l’aumento del tasso di suicidi proprio in un anno di grande sofferenza e solitudine come quello appena concluso.
Fonte: nostra elaborazione su dati Ristretti Orizzonti
I dati sulle morti in carcere pubblicati da “Ristretti Orizzonti” ci consentono di andare oltre al tasso dei suicidi e osservare altri aspetti del fenomeno.
Delle 61 persone che nel 2020 si sono tolte la vita, 53 biografie sono censite e raccontate dal dossier “Morire di carcere” a cura Ristretti Orizzonte, 23 erano straniere e 30 italiane. Tranne una signora morta nell’istituto di Sassari, gli altri erano tutti detenuti uomini.
Guardando l’età, vediamo come nella maggior parte dei casi si è trattato di persone giovani: l’età media delle persone che si sono tolte la vita in carcere nel 2020 è di 39,6 anni.
La fascia più rappresentativa – con quindici decessi – è infatti quella delle persone fra i 36 e i 40 anni, tristemente seguita da otto decessi di ragazzi con un’età compresa tra i 20 e i 25 anni. I più giovani erano due ragazzi di 22 anni morti a pochi giorni di distanza, uno a Benevento e l’altro a Brescia. La persona più anziana era un uomo di 80 anni deceduto nel carcere di Cagliari.
L’istituto dove sono avvenuti più casi di suicidio nel corso dell’anno è la Casa Circondariale di Como con tre decessi fra il mese di giugno e quello di settembre, seguono con due casi ognuno gli istituti di Benevento, Brescia, Napoli Poggioreale, Palermo Pagliarelli, Roma Rebibbia, Roma Regina Coeli e Santa Maria Capua a Vetere.
Uno sguardo comparativo sui suicidi nel mondo libero e in Europa
Oltre a guardare cosa succede nelle carceri italiane, un rapido sguardo va dato anche a cosa accade in Italia nel mondo libero e a cosa accade nel mondo recluso ma in altri paesi.
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat e Dap
Se paragonati ai tassi di suicidi nella popolazione libera, i numeri relativi ai casi di suicidi nelle carceri italiane destano ancora più preoccupazione. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, il tasso di suicidio in Italia nel 2017 era pari a 0,74 ogni 10.000 persone. Nello stesso anno, il tasso di suicidi in carcere era pari a 8,4 ogni 10.000 detenuti mediamente presenti.
Mettendo in rapporto i due tassi, vediamo quindi come in carcere i casi di suicidi siano oltre 10 volte in più rispetto alla popolazione libera.
Fonte: nostra elaborazione su dati SPACE Consiglio d’Europa
Gli ultimi dati pubblicati sui tassi di suicidio negli istituti penitenziari europei sono del 2018, quando nelle carceri Italiane si registrava un tasso di suicidi pari a 10.1 ben superiore alla media europea di quell’anno attestatasi a 7.2 casi ogni 10.000 presenze medie.
Interessante notare come l’Italia sia fra i paesi europei con il tasso di suicidio più alto nella popolazione detenuta, mentre è fra i paesi con i tassi di suicidio più basso nella popolazione libera.2) Gli ultimi dati pubblicati dall’OMS sui tassi di suicidi nella popolazione libera risalgono al 2016. Secondo questi dati, ogni 10.000 persone il tasso di suicidi in Italia era pari a 0,82, ben inferiore ad altre realtà europee come la Francia (1,77); la Germania (1,36); la Polonia (1,62); la Romania (1,04); la Spagna (0,87); e gli Uk (0,89).
Morti per cause naturali
Anche per le morti per cause naturali, come per l’analisi dei casi di suicidio, il dato da prendere in considerazione per una corretta descrizione del fenomeno è il tasso di decessi avvenuti ogni 10.000 persone detenute mediamente presenti. Nel 2020, tale tasso è risultato pari a 16.8, superiore a quello dell’anno precedente ma tutto sommato in linea con l’oscillazione dei dati dell’ultimo decennio.
Fra le cause di morte naturale, in carcere come nel resto del mondo, alcuni decessi sono avvenuti dopo aver contratto il Covid-19. Secondo i dati pubblicati da “Ristretti Orizzonti”, dall’inizio dell’emergenza sanitaria fino a dicembre 2020, sedici persone detenute hanno perso la vita a causa del virus. Di queste, quattro sono morte nei mesi di aprile e maggio, durante la cosiddetta prima ondata, mentre le altre dodici fra ottobre e dicembre, quando con la seconda ondata il virus è entrato con più prepotenza nelle carceri italiane dando vita a numerosi focolai.
Morti delle rivolte
Insieme ai suicidi e alle morti per cause naturali, ogni anno numerosi sono i decessi negli istituti di pena con cause ancora da accertare. Nel 2020, in questa categoria rientrano anche le morti avvenute a seguito delle rivolte scoppiate in alcuni istituti penitenziari nei primi giorni di lockdown nazionale.
Fra il 9 e il 10 marzo, tredici persone detenute hanno perso la vita. Cinque sono morte nella Casa Circondariale di Modena, tre nella Casa Circondariale di Rieti, una nella Casa Circondariale di Bologna e quattro rispettivamente nelle Case Circondariali di Ascoli, Verona, Alessandria e Parma dopo essere stati trasferiti dall’istituto modenese.
Tutte e tredici le morti sono state generalmente imputate a overdose di psicofarmaci e metadone. Le cause dei decessi sono però ufficialmente ancora in fase di accertamento, soprattutto per quando riguarda eventuali ipotesi di omissione di soccorso e trasferimenti disposti già in presenza di situazioni di salute critiche.
Per il decesso delle nove persone detenute nella Casa Circondariale di Modena, il 18 marzo 2020 Antigone ha depositato un esposto contro gli agenti di polizia penitenziaria ed il personale sanitario per omissioni. Le indagini sono attualmente in corso.
Eventi critici
Oltre ai casi di suicidio, altro sintomo di malessere del sistema penitenziario sono i cosiddetti eventi critici definiti dal Ministero della Giustizia come gli atti che mettono “a rischio la propria o altrui incolumità e più in generale la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari”.
Rientrano in questa categoria ad esempio i casi di autolesionismo e i tentati suicidi. Si tratta per entrambi di fenomeni con numeri di complessa lettura, sia perché spesso più gesti vengono effettuati da una medesima persona sia perché il conteggio degli eventi può sensibilmente variare da istituto a istituto, a seconda se vengano considerati o meno come azioni di tipo dimostrativo. Tenendo questo a mente, i dati relativi agli eventi critici restano comunque elementi importanti per analizzare il clima di ogni istituto e in generale dell’intero sistema penitenziario.
Fonte: nostra elaborazione su dati del Garante Nazionale, Relazione al Parlamento 2019 e Relazione al Parlamento 2020.
Come per il tasso di suicidi, vediamo negli ultimi anni un aumento degli eventi critici soprattutto per quanto riguarda gli episodi di autolesionismo, ricominciati sensibilmente a crescere a partire dal 2016.
Dalle informazioni raccolte tramite le visite effettuate da Antigone nel corso del 2020, emerge una media di 23,86 casi di autolesionismo ogni 100 persone detenute. Numerosi sono gli istituti con un numero di casi ben superiore, fra questi i primi cinque sono le Case Circondariali di Cassino (60,98), Imperia (49,3), Venezia Santa Maria Maggiore (47,62), Pisa Don Bosco (44,19) e Milano San Vittore (43,11).
Ancora una volta, senza voler delineare una netta correlazione tra fenomeni, consideriamo le condizioni di detenzione solo come elementi capaci di intensificare situazioni già di per sé complesse. Osservando i dati raccolti, notiamo come negli istituti con numerosi casi di autolesionismo vi siano alti tassi di sovrafollamento, ben superiori alla media nazionale pari circa al 106%. Nell’istituto di Imperia e di Venezia, ad esempio, il tasso di sovraffollamento supera addirittura il 155%.
Altro elemento interessante è la presenza media di psichiatri e psicologi all’interno degli istituti. Nelle Case Circondariali di Cassino, Venezia e Pisa, nonostante l’alto numero di episodi di autolesionismo, si registra infatti una ridotta presenza in ore settimanali di entrambe le categorie di professionisti, ben al di sotto della media pari a quasi 9 ore per gli psichiatri e a quasi 17 per gli psicologi per ogni 100 persone detenute.
Trattandosi di fenomeni distinti, ma a volte collegati tra loro, non è un caso che alcuni degli istituti con un maggior numero di episodi di autolesionismo siano allo stesso tempo tra quelli con il maggior numero di tentati suicidi in relazione ai detenuti presenti. Fra questi ritroviamo infatti gli istituti di Imperia e di Pisa, ai quali si aggiungono le Case Circondariali di Sassari, Lecce e Piacenza.
References
↑1 | Secondo i dati pubblicati dal Dap, si tratta infatti del dato più alto dal 2001 quando il tasso di suicidi era pari a 12,5 ogni 10.000 persone mediamente presenti negli istituti di pena. |
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↑2 | Gli ultimi dati pubblicati dall’OMS sui tassi di suicidi nella popolazione libera risalgono al 2016. Secondo questi dati, ogni 10.000 persone il tasso di suicidi in Italia era pari a 0,82, ben inferiore ad altre realtà europee come la Francia (1,77); la Germania (1,36); la Polonia (1,62); la Romania (1,04); la Spagna (0,87); e gli Uk (0,89). |