I detenuti che frequentano la scuola sono circa un terzo del totale. Nell’anno scolastico 2019/2020 gli iscritti erano 20.263 (il 33,4% del totale). “E molti ne rimangono esclusi”. Poco meno della metà (9176) erano stranieri.
La scuola è la più importante delle attività trattamentali, sia per il numero di persone coinvolte che per la quantità di ore che gli insegnanti passano negli istituti. Assieme al Centro studi per la scuola pubblica (CESP) e alla Rete delle scuole ristrette, Antigone ha portato avanti una ricerca che ha coinvolto 82 docenti presenti in 61 degli istituti penitenziari del Paese, con l’obiettivo di misurare l’impatto della pandemia sull’offerta scolastica. Prima però può essere utile tracciare un quadro generale della questione.
Le attività scolastiche in carcere rientrano all’interno della più ampia istruzione per adulti. Come spiega Anna Grazia Stammati, presidente del CESP e della Rete delle scuole ristrette, i corsi “si suddividono in percorsi di primo livello, gestiti dai Centri provinciali istruzione adulti-CPIA (comprendenti, in carcere, essenzialmente licenza media e alfabetizzazione) e percorsi di secondo livello, comprendenti l’istruzione tecnica, professionale e artistica”. I detenuti che frequentano la scuola sono circa un terzo del totale. Nell’anno scolastico 2019/2020 gli iscritti erano 20.263 (il 33,4% del totale). “E molti ne rimangono esclusi”. Poco meno della metà (9176) erano stranieri.
Totale iscritti e promossi nel corso degli ultimi quattro anni
Fonte: rielaborazione dati Ministero Giustizia
“Ma non è stato sempre così”, ci dice Stammati. “Per raggiungere questi risultati ci sono voluti anni di impegno, sia da parte di una componente interna all’amministrazione penitenziaria (attivatasi dopo varie condanne della CEDU), che da parte di quei docenti convinti da sempre della centralità dell’istruzione nell’esecuzione penale e del valore della cultura quale elemento di crescita e riscatto”.
Se entriamo nel dettaglio dell’offerta scolastica vediamo che una parte consistente della popolazione detenuta frequenta corsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana. Nel 2019/2020 vi partecipavano 4.820 persone detenute, ovvero poco meno di un quarto del totale degli studenti. Si tratta per l’88% di persone detenute straniere. Gli iscritti al primo periodo didattico invece (scuole elementari e medie) erano 6.674 persone, un terzo del totale degli studenti. 3.963 di questi erano iscritti alle scuole elementari, 2.711 alle scuole medie. Alle scuole elementari gli stranieri erano il 60% del totale, alle scuole medie il 28%. Infine al secondo periodo didattico (scuole superiori) erano iscritti in 8.769, di cui il 20% erano stranieri.
Fonte: rielaborazione dati Ministero Giustizia
Al 31 dicembre 2020, in effetti, solo il 10% della popolazione detenuta possedeva un diploma.
Nel grafico è riportato il numero dei promossi, che per il primo periodo didattico sono il 40% degli iscritti, mentre per il secondo vanno oltre il 70%.
Lo scarto si spiega in parte con una maggiore partecipazione al primo periodo didattico di detenuti che devono scontare pene brevi o sono in attesa di giudizio, una fetta di popolazione detenuta in cui peraltro gli stranieri sono sovrarappresentati.
II tasso di abbandono scolastico è in generale alto, rispetto all’esterno. Ciò è dovuto alle uscite anticipate dal carcere, a trasferimenti in altri istituti o all’accesso alle attività lavorative (in genere privilegiate rispetto a quelle scolastiche).
Alcune classi sono più frequentate di altre. Le più affollate, ci racconta Stammati, “sono le prime due del biennio (quando ci sono), in cui si iscrivono anche 25/30 alunni. Che sono quelle che fanno parte della scuola dell’obbligo ma che i detenuti, all’esterno, non hanno mai frequentato o non hanno completato”. Il che mostra il nesso tra tasso di abbandono scolastico all’esterno e detenzione. Al 31 dicembre 2020, in effetti, solo il 10% della popolazione detenuta possedeva un diploma. Ai numeri passati in rassegna finora vanno aggiunti quelli degli studenti universitari, una fetta di popolazione detenuta minoritaria ma che cresce a ritmi sostenuti (raddoppiata tra il 2015 e il 2019), anche grazie alla maggiore offerta degli ultimi anni. Si tratta di studenti in parte coinvolti nelle attività dei 27 poli universitari presenti in carcere in pianta stabile, che si trovano in sezioni apposite, e in parte (nel 44% dei casi) iscritti all’Università senza che questa abbia poli appositi. Ad oggi gli studenti universitari sono distribuiti in 70 istituti penitenziari.
Iscritti all’Università, serie storica
Fonte: rielaborazione dati Ministero Giustizia
Su 38.520 ore dovute ne erano state erogate 1.410, il 4%. E di queste il 3,16% era stato erogato nelle classi finali, e solo lo 0,76% nelle altre classi”.
Scuola in carcere e pandemia
Il mondo della scuola in carcere è stato sconquassato dall’arrivo della pandemia. “Se la pandemia è stata per tutti uno scossone, per il carcere e la scuola in carcere ha costituito uno tsunami senza precedenti”, ci dice Stammati. Con l’arrivo della prima ondata le attività si sono semplicemente interrotte. “Mentre all’esterno, nella prima fase della chiusura totale, la scuola si riorganizzava, cercando di riprendere i contatti attraverso la didattica a distanza sincrona, i contatti con gli studenti ristretti sono stati quasi totalmente recisi”. Per monitorare l’andamento delle attività durante la prima ondata, il Cesp svolto un’indagine “i cui risultati sono stati presentati il 9 e 10 luglio in videoconferenza da Rebibbia. All’occasione hanno partecipato docenti, studenti, educatori, volontari e direttori. Oltre a una rappresentanza di studenti ristretti che sono potuti intervenire in diretta”. Risultati che “hanno messo in evidenza le criticità della didattica a distanza in carcere (in particolare quella sincrona; ma anche quella asincrona, perché spesso è priva di feedback) e l’esiguità del numero di ore di lezione svolte. Durante la prima ondata, su 38.520 ore di lezione da svolgere all’interno degli istituti penitenziari ne erano state erogate 1.410, il 4%. E di queste il 3,16% era stato erogato nelle classi finali, e solo lo 0,76% nelle altre classi”. A fronte di un quadro a tinte fosche vi è stata una “sostanziale convergenza dei tre Ministeri coinvolti (Istruzione, Giustizia, Beni Culturali), così come dei politici presenti alla conferenza”. Le autorità si erano impegnate a sottoscrivere un protocollo e a costituire un “Osservatorio per monitorare l’applicazione degli eventuali Protocolli e Accordi posti in essere”.
Durante la prima ondata, dunque, le attività scolastiche si sono praticamente interrotte. I pochi collegamenti da remoto sono stati attivati solo per chi doveva sostenere gli esami di fine anno. Il motivo principale era l’inadeguatezza delle infrastrutture tecnologiche a disposizione degli istituti. Ma vi era anche la mancanza di aule abbastanza grandi, in cui svolgere lezione nel rispetto del distanziamento sociale. Purtroppo nei mesi successivi non si è riusciti a prendere provvedimenti sufficienti per consentire la ripresa delle lezioni. Tanto che a novembre 2020, cioè nel corso dell’anno scolastico successivo, “quando il virus ha mostrato di essere ancora virulento, le lezioni sono state nuovamente interrotte, anche se a macchia di leopardo e con tempistiche e modalità diverse, dettate anche dall’uscita delle regioni dalla situazione di rischio o meno”, dice ancora Stammati. A gennaio 2021 Antigone, assieme al CESP e alla Rete delle scuole ristrette, ha interpellato 82 insegnanti presenti in 61 istituti di pena, al fine di capire chi stesse facendo lezione in presenza e con quali modalità. In un periodo in cui la scuola all’esterno era ripresa ovunque, sia pure al 50% delle presenze per alcuni istituti, non era così in carcere. Nel 45,1% degli istituti monitorati, nel mese di gennaio la scuola in presenza non era ripresa.
Fonte: dati Osservatorio Antigone
Negli istituti in cui si faceva didattica a distanza molti detenuti sono comunque rimasti esclusi dalle attività a causa della difficoltà a garantire il distanziamento sociale nelle classi. Nel 29% dei casi monitorati gli studenti coinvolti erano la metà degli iscritti, nel 10% meno di un quarto, nel 5% tra un quarto e la metà e nel 37% più di tre quarti (nel 18% dei casi il dato non è stato rilevato).
Solo nel 27% degli istituti in cui non vi era didattica in presenza erano stati attivate forme di videoconferenza (Meet, Zoom o simili) per tutte le classi. A questa percentuale va aggiunto l’8% di in cui la didattica sincrona era presente solo per alcune classi. Nel restante 62% dei casi non c’era didattica sincrona. In genere, laddove impossibilitati ad entrare in istituto, i docenti hanno fatto pervenire del materiale cartaceo (dispense, compiti e fotocopie di vario tipo), in modo tale da avere un supporto da cui valutare gli studenti. La distribuzione di materiale ha riguardato l’84% degli istituti in cui non c’era didattica in presenza (dunque in qualche caso vi è stata sovrapposizione con la didattica a distanza sincrona).In qualche caso alla distribuzione di materiale non ha fatto seguito alcun feedback. Negli istituti in cui si faceva didattica a distanza molti detenuti sono comunque rimasti esclusi dalle attività a causa della difficoltà a garantire il distanziamento sociale nelle classi. Nel 29% dei casi monitorati gli studenti coinvolti erano la metà degli iscritti, nel 10% meno di un quarto, nel 5% tra un quarto e la metà e nel 37% più di tre quarti (nel 18% dei casi il dato non è stato rilevato).
Fonte: dati Osservatorio Antigone
Come sottolinea Stammati “il quadro è inquietante per la garanzia del diritto allo studio e alla conoscenza. La frequenza scolastica a gennaio era garantita in pratica a circa un quarto degli studenti frequentanti”. Ancora oggi “rimangono tutte aperte le problematiche affrontate a luglio alla V Giornata nazionale del Mondo che non c’è: 1) l’urgente necessità di entrare nel merito dell’utilizzazione degli spazi in carcere per una didattica in presenza che copra le necessità della popolazione detenuta; 2) il potenziamento reale dell’uso delle tecnologie; 3) la definizione di aree comuni destinate alle attività culturali e di istruzione (biblioteche, sale lettura per lo studio individuale, salette per l’uso di personal computer e per esercitazioni o lavori di gruppo); 4) l’attivazione di misure di accompagnamento degli studenti ristretti finalizzate al loro reinserimento dopo il fine pena”.