Al 28 febbraio 2021 i detenuti sono 53.697, un numero che è tornato a salire rispetto al 31 dicembre 2020.
Non è facile raccontare con i numeri un anno come quello trascorso nelle carceri italiane. Si tratta di un anno tragico che ha rivoluzionato il modo di essere delle persone libere e di quelle detenute. Il sovraffollamento da condizione oggettiva di trattamento degradante è diventato anche questione di salute pubblica.
Al 28 febbraio 2021 i detenuti sono 53.697, un numero che è tornato a salire rispetto al 31 dicembre 2020.
Ma siamo ancora molto al di sotto delle cifre pre-pandemia: erano 61.230 il 29 febbraio del 2020, a pochi giorni dalla scoperta del paziente zero di Codogno. L’Italia non era ancora in lockdown. Dunque in dodici mesi il calo è stato pari a 7.533 unità corrispondente al 12,3% del totale.
Una diminuzione che ha riguardato condannati e persone in attesa di giudicato in modo non troppo differente. Erano 41.873 i condannati pari al 68,3% del totale delle persone detenute. Dunque i non condannati erano il 31,7%. Oggi la percentuale dei condannati è scesa al 68%, un calo non troppo vistoso. Dunque nell’ultimo anno la riduzione della popolazione detenuta è intervenuta più o meno in modo omogeneo nei confronti di tutti a prescindere dalla situazione giuridica delle persone recluse. Ci si poteva attendere che avremmo osservato un calo che avrebbe colpito maggiormente chi proveniva dallo stato di libertà (proprio per evitare promiscuità tra il dentro e il fuori), invece, seppur in percentuale, i mai giudicati sono finanche percentualmente aumentati. Il 29 febbraio 2020 le persone che non hanno ricevuto neanche il primo giudizio erano pari al 16,2% del totale. Oggi sono il 16,5%.
Comunque gli attuali 53.697 sono in numero superiore a quanti abitavano le carceri immediatamente dopo i primi provvedimenti assunti per rispondere alla condanna della Corte Europea dei diritti umani nella sentenza Torreggiani. Al 31 dicembre 2015 i detenuti erano infatti 52.165. Dunque la riduzione dell’ultimo anno, esito più di attivismo della magistratura di sorveglianza che non dei provvedimenti legislativi in materia di detenzione domiciliare, ci ha riportati un po’ più vicini all’Italia carceraria messa sotto accusa nel 2013 dai giudici europei.
Nell’ultimo anno il numero delle carceri è rimasto lo stesso, ossia pari a 189. La capienza regolamentare è invece scesa da 50.931 posti a 50.551.
Il tasso di sovraffollamento è oggi pari al 106,2%. Posto però che la stessa amministrazione penitenziaria riconosce formalmente che “il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato” e che presumibilmente i reparti chiusi potrebbero riguardare circa 4 mila posti ulteriori il tasso effettivo, seppur non ufficiale di affollamento, va a raggiungere il 115%. Dunque per poter scendere fino al 98% della capienza ufficiale regolamentare, considerata in alcuni paesi la percentuale fisiologica di un sistema che deve sempre prevedere la disponibilità di un certo numero di posti liberi per eventuali improvvise ondate di arresti o esecuzioni, sarebbe necessario deflazionare il sistema di altre 4 mila unità che diverrebbero 8 mila alla luce dei reparti transitoriamente chiusi.
La parziale riduzione della popolazione detenuta intervenuta nell’ultimo anno non ha cambiato le proporzioni tra stranieri e italiani. I primi oramai da alcuni anni si attestano al 32,5% del totale dei detenuti. Va ricordato che erano il 37,15% del totale alla fine del 2009, calando in termini assoluti di ben 6.723 unità nel giro di undici anni. Dunque le urla scomposte di chi associa la condizione dello straniero a quella del criminale non hanno fondamento statistico.
Paradigmatico, nel considerare questa riduzione di presenza di stranieri, è il caso dei rumeni. Al 28 febbraio 2021 sono 2.049 pari al 3,81% del totale dei detenuti presenti. Nel 2009 erano ben 2.966 pari al 4,57% del totale. Un calo enorme sia in termini percentuali che assoluti.
La qualità della vita in carcere molto dipende dai tassi di sovraffollamento. La media nazionale non evidenzia le criticità locali, alcune delle quali particolarmente gravi. Soffermiamoci sulle grandi aree metropolitane.
LE VENTI CARCERI PIÙ AFFOLLATE:
- Taranto 196,4% (603 detenuti per 307 posti)
- Brescia 191,9% (357 detenuti per 186 posti)
- Lodi 184,4% (83 detenuti per 45 posti)
- Lucca 182,3% (113 detenuti per 62 posti)
- Grosseto 180% (26 detenuti per 15 posti)
- Udine 174,4 (157 presenti per 90 posti)
- Bergamo 164,1% (517 detenuti per 315 posti)
- Latina 158,4% (122 detenuti per 77 posti)
- Busto Arsizio 156,6% (376 presenti per 240 posti)
- Genova Pontedecimo 155,2% (149 detenuti per 96 posti)
- Altamura 154,7% (82 detenuti per 53 posti)
- Monza 153,1% (617 detenuti per 403 posti)
- Pordenone 150% (57 detenuti 38 posti)
- Gela 150% (72 detenuti per 48 posti)
- Bologna 149,2 (746 detenuti per 500 posti)
- Como 149,1% (358 detenuti per 240 posti)
- Roma Regina Coeli 147,3% (893 presenti per 606 posti)
- Catania “Bicocca” 146,7% (201 presenti per 137 posti)
- Bari 146,5% (422 presenti per 288 posti)
- Asti 146,3% (300 presenti per 205 posti)
Al 21esimo posto, tra le più rilevanti carceri metropolitane, troviamo Foggia, con un tasso di affollamento del 146,3% (534 per 365 posti), al 30esimo Firenze Sollicciano (136,1%, ovvero 668 detenuti per 491 posti), al 34esimo Napoli Poggioreale (132,5%, 2.085 detenuti per 1.571 posti) e al 47esimo Torino “Lorusso e Cotugno” (tasso di affollamento del 133,6%, 1.345 detenuti per 1.060 posti).
Non solo carcere
L’area penale si compone anche di tutti coloro che scontano misure non detentive. Al 15 febbraio 2021 sono 61.589 le persone, di cui 6.961 donne, che sono in esecuzione di una misura alternativa alla detenzione, sanzione sostitutiva, libertà vigilata, messa alla prova, lavori di pubblica utilità. 16.856 in affidamento in prova al servizio sociale, 11.788 in detenzione domiciliare, 752 in semilibertà (queste ultime grazie a provvedimenti normativi diretti a limitare i rischi del contagio sono state per lunga parte dell’anno autorizzati a non rientrare in istituto la notte). Da sottolineare le ben 8.828 persone sottoposte a lavori di pubblica utilità, la quasi totalità delle stesse per violazione del codice della strada. Ben 18.936 persone sono invece in stato di messa alla prova. La messa alla prova è una forma di probation giudiziale innovativa nel settore degli adulti che consiste, su richiesta dell’imputato, nella sospensione del procedimento penale nella fase decisoria di primo grado per reati di minore allarme sociale. Venne introdotta nel 2014. Dunque in soli 7 anni si conquista uno spazio enorme nel nostro sistema socio-penale senza però, di fatto, contribuire sostanzialmente a erodere i numeri della carcerazione. Dunque si è espansa l’area del controllo penale, visto che nel 2015 avevamo gli stessi numeri penitenziari di oggi ma meno persone in esecuzione penale esterna. Guardando alla totalità delle persone in carico ai servizi di comunità esterna Uepe si vede come gli stranieri sono il 18,2% contro il 32,5% dei detenuti. Dunque fruiscono meno delle opportunità di reinserimento sociale e tendono maggiormente a scontare per intero la pena inflitta.
Età e composizione anagrafica
Guardando alla composizione anagrafica delle persone detenute si evidenzia come permangano in carcere, nonostante le disposizioni che consentono la detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni, ben 851 (erano solo 350 nel 2005) persone che al 31 dicembre 2020 avevano più di 70 anni. Una parte di loro è in regime di alta sicurezza oppure 41-bis, secondo comma. Invece sono 9.497 gli infra-trentenni, ossia una popolazione giovane che dovrebbe spingere l’amministrazione a organizzare un piano di azioni educative, scolastiche, culturali, di avviamento al lavoro che tenga conto della loro giovane età. Solo un detenuto su dieci ha la laurea o una licenza di scuola media superiore. Ha senso strategico investire nella formazione.
Complessivamente vi sono circa 60 mila figli di detenuti all’esterno delle carceri. Il numero è sicuramente approssimato al ribasso in considerazione di tanti casi sfuggiti alla rilevazione. Un numero enorme che richiede una grande attenzione da parte dei servizi sociali esterni.
Rispetto alla regione di nascita dei detenuti, in una classifica che considera il numero di detenuti per 10.000 residenti abbiamo in testa la Calabria con il 19,2, seguita dalla Campania con il 15,7, la Sicilia con il 13,98, la Puglia con l’11,2, la Sardegna con il 5,9, il Lazio con il 5,1, la Basilicata con il 4,9, il Molise con il 3,42, l’Abruzzo con il 2,95, la Liguria con il 2,94, il Piemonte con il 2,9, la Lombardia con il 2,58 e a seguire tutte le altre. Conta pertanto sicuramente la condizione sociale ed economica di provenienza.
Guardando invece ai dati più strettamente criminali si vede come i reati contro il patrimonio sono quelli più rappresentati (30.745) a cui seguono quelli contro la persona (23.095) e i reati in violazione della legge sulle droghe (18.757). A seguire i reati in violazione della legge sulle armi (9.397) e i delitti legati all’associazione di stampo mafioso (7.274). Gli stranieri presenti per quest’ultima tipologia di reato sono il 3,45% del totale mentre raggiungono il 34,5% di chi è dentro per avere violato la legge sugli stupefacenti. E’ evidente che costituiscono l’anello meno significativo della catena criminale.
In media a ogni detenuto corrispondono più di due delitti.
Sono 1.784 gli ergastolani (erano 1.224 nel 2005 con una crescita di 560 unità) di cui solo 112 stranieri pari al 6,27%. 985 persone sono state condannate a meno di un anno (erano addirittura 3.356 nel 2005), di cui 452 stranieri pari al 45,88%.
Man mano che cresce la pena diminuisce la percentuale dei detenuti stranieri, segno, ancora una volta del minore spessore criminale e di un uso selettivo della giustizia penale.
In generale negli ultimi 15 anni vi è stata una crescita della durata delle pene inflitte segno di maggiore severità dei giudici di cognizione.
19.040 sono invece i detenuti con un residuo pena inferiore ai tre anni e potenzialmente ammissibili a una misura alternativa alla detenzione, salvo quella quota che è sottoposta a divieti normativi in ragione del reato commesso. Se solo metà di loro ne fruisse avremmo risolto parte dei problemi dell’affollamento carcerario italiano.
Rispetto alla vita interna nelle carceri usiamo invece le rilevazioni dirette dell’osservatorio di Antigone. Il campione di carceri visitate, nonostante il Covid, è stato pari a 44 istituti ossia circa un quarto delll’intero parco penitenziario italiano.
Ecco in sintesi alcuni dati dai quali si comprendono problemi strutturali e organizzativi che si riflettono sulla qualità della vita e il benessere psico-fisico delle persone detenute. Potrebbero esserci piccole imprecisioni di cui ci scusiamo.
- Metà delle carceri è in area extraurbana e nell’11,4% dei casi non c’è mezzo di trasporto per raggiungere l’istituto
- Nel 22,7% dei luoghi visitati non dappertutto è garantito disporre di 3 metri quadri a persona
- Nel 9,1% dei luoghi il riscaldamento non è garantito in tutte le celle
- Nel 29,5% delle celle visitate non è garantita la disponibilità di acqua calda
- Nel 47,7% delle celle non vi è doccia
- Nel 38,6% delle celle vi sono schermature alle finestre che non favoriscono l’ingresso di luce naturale
- Nel 77,3% dei casi non è prevista una separazione dei giovani adulti (meno di 25 anni) dai più grandi
- Nel 50% dei casi vi sono spazi attualmente non uso per ristrutturazione o inagibilità
- Nel 79,5% degli istituti non c’è uno spazio ad hoc per i detenuti di culto non cattolico
- Nel 25% dei casi non vi è un ministro di culto non cattolico
- Nel 15,9% delle sezioni visitate non vi sono spazi per la socialità
- Nel 36,4% dei casi non è prevista una ammissione settimanale alla palestra o al campo sportivo
- Nel 20,5% dei luoghi non vi è un’area verde per i colloqui visivi nel periodo estivo
- Nel 13,6% dei casi il direttore dirige più di un carcere
- Solo nel 23,3% dei casi il magistrato di sorveglianza entra almeno una volta al mese in carcere
- Nel 15,9% dei casi non vi è un medico per tutte e 24 le ore
- Nel 56,8% delle carceri manca la cartella clinica digitalizzata
- Nel 70,5% dei luoghi manca un’articolazione per la salute mentale
- Nel 15,8% dei casi manca un servizio ginecologico per le donne detenute
- La media ore settimanali di intervento psichiatrico per 100 detenuti è 8,97 e 16.56 per intervento psicologico
- Nel 34,1% delle sezioni le celle non sono aperte 8 ore al giorno
- Solo il 22,7% fa più di 4 ore d’aria al giorno
- Nel 54,5% delle sezioni i detenuti non possono spostarsi in autonomia
- Nel 52,3% dei casi non vi è possibilità di colloquio visivo la domenica e nel 25% mai di pomeriggio
- Nel 31,8% dei casi è possibile prenotare un colloquio per un parente anche via internet
- Nel 95,5% dei casi è previsto il colloquio con i parenti via skype
- Nel 54,5% dei casi non vi è mai possibilità di uso della rete internet.
Ne esce un quadro complesso, articolato, anche molto differenziato da istituto a istituto. I problemi strutturali sono notevoli e spesso alla base di diritti non assicurati. Però molte volte è anche una scarsa fiducia verso politiche penitenziarie moderne e fondate sulle nozioni di fiducia e responsabilità a determinare scelte come quelle dirette a anestetizzare in parte la grande novità della sorveglianza dinamica.