La mediazione culturale è quindi uno strumento necessario per garantire un flusso dialogico positivo e costruttivo fra tutti gli attori presenti nell’universo carcerario.
Diversità e ambiente penitenziario
Prima di analizzare nello specifico le questioni relative alla presenza di mediatori linguistici e culturali all’interno delle strutture penitenziarie e alle criticità connesse all’inserimento di queste figure professionali nel contesto organizzativo carcerario, il contributo propone alcune brevi considerazioni sull’importanza della mediazione linguistico-culturale tenendo conto della super-diversità 1)S. Vertovec, Super-diversity and its implication, ‘Ethnic and Racial Studies’. 30 (6): 1024–1054
che caratterizza l’ambiente carcerario e della importanza dei registri comunicativi nella vita quotidiana dei detenuti.
La cesura rispetto al mondo libero che la detenzione comporta è particolarmente profonda nel caso dei detenuti stranieri. La mancanza di una rete relazionale esterna, prima fra tutte la lontananza della famiglia, e la condizione di povertà che spesso affligge la componente straniera aggravano il senso di isolamento che di per sé connota la privazione della libertà. A tutto ciò si aggiungono le difficoltà di relazione all’interno di un universo gerarchico e altamente formalizzato.
Erving Goffman ha magistralmente evidenziato la problematicità delle relazioni insita nelle logiche stesse di funzionamento delle istituzioni del controllo. In uno spazio chiuso convivono forzatamente due mondi sociali e culturali completamente differenti (lo staff e i detenuti). Questi due gruppi tendono a farsi una immagine l’uno dell’altro basata su stereotipi negativi e ostili, in un contesto in cui le limitazioni dei rapporti non permettono la possibilità di una reale conoscenza reciproca. 2)E. Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Einaudi, Torino 1968.
Gli stereotipi di tipo antagonistico si rafforzano rispetto alla condizione di straniero. In una realtà come è oggi il carcere sempre più contraddistinta da elementi di super-diversità, le dinamiche relazionali coinvolgono soggetti posti in posizione asimmetrica dai meccanismi di potere tipici della istituzione e in più con un retroterra culturale differente che crea demarcazioni e rende complesse le opportunità di interazione. Inoltre, la diversità di cui sono portatori gli stranieri spesso è collegata all’aumento di tensioni e conflitti nella vita quotidiana carceraria, visto che, come ricordava Abdelmalek Sayad, l’immigrato in quanto ‘diverso’ e ‘minoranza’ fa esperienza della cultura del sospetto. 3)A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.
E il sospetto impregna anche i rapporti con gli altri reclusi favorendo ulteriormente l’isolamento dei detenuti stranieri. La mediazione culturale è quindi uno strumento necessario per garantire un flusso dialogico positivo e costruttivo fra tutti gli attori presenti nell’universo carcerario. È un indispensabile dispositivo di supporto per alleviare tensioni e ridurre i conflitti, visto che la sua metodologia si fonda sull’ascolto, l’accettazione della legittimità del punto di vista dell’altro, la negoziazione permanente.
I termini attualmente utilizzati nelle carceri riferiti ai detenuti sono spesso avulsi da quelli comunemente adottati dalla collettività ed è causa di una progressiva e deprecabile infantilizzazione, di un isolamento del detenuto dal mondo esterno che crea ulteriori difficoltà per il possibile reinserimento, oltre ad assumere in alcuni casi una connotazione negativa.
Lingue e linguaggi del carcere
Un’altra significativa barriera che condiziona il percorso detentivo dei detenuti stranieri è la non conoscenza della lingua veicolare. L’aumento della componente straniera ha profondamente modificato il paesaggio linguistico del carcere, infatti in molte strutture sono presenti repertori linguistici nuovi che si affiancano a quelli più tradizionali che comprendono anche le forme dialettali dell’italiano. Inoltre, si registrano molti casi di plurilinguismo, i detenuti provenienti dal Maghreb spesso parlano l’arabo e il francese, altri la lingua nazionale e quella del paese o dei paesi in cui hanno soggiornato nel loro percorso migratorio. La comunicazione sia in forma orale che scritta è un bene relazionale fondamentale in un contesto chiuso e formalmente amministrato. Anche perché il carcere è un vero e proprio universo linguistico e il linguaggio è parte integrante del potere inglobante delle istituzioni del controllo. L’utilizzo di specifiche parole così come elementi della comunicazione non verbale comportano quelle che Goffman chiama forme di mortificazione del sé. I mondi reclusi anche attraverso il linguaggio spezzano cioè “quei fatti che, nella società civile, hanno il compito di testimoniare a colui che agisce e a coloro di fronte ai quali si svolge l’azione, che egli ha un potere sul suo mondo, che si tratta di persona che gode di autodeterminazione, autonomia e libertà d’azione adulte 4)E. Goffman, op.cit., p.71”. Il linguaggio carcerario è profondamente infantilizzante e denigrante tant’è che su questi aspetti è intervenuta una circolare del 30 marzo del 2017 del capo del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo che ha recepito le indicazioni provenienti da uno dei tavoli degli Stati generali sull’esecuzione penale. Nella circolare si legge “Come è noto in ogni comunità il linguaggio svolge un ruolo fondamentale, soprattutto per il carcere.
Anche le Regole Penitenziarie Europee prevedono che la vita all’interno del carcere deve essere il più possibile simile a quella esterna e questa ‘assimilazione’ deve comprendere anche il lessico.
I termini attualmente utilizzati nelle carceri riferiti ai detenuti sono spesso avulsi da quelli comunemente adottati dalla collettività ed è causa di una progressiva e deprecabile infantilizzazione, di un isolamento del detenuto dal mondo esterno che crea ulteriori difficoltà per il possibile reinserimento, oltre ad assumere in alcuni casi una connotazione negativa. […] Non si può non sottolineare che tali espressioni non sono rispettose delle persone detenute, determinando delle errate considerazioni, oltre ad essere utilizzate con accezione negativa 5)Circolare del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria 30 marzo 2017.”. I provveditori regionali, i direttori degli istituti, i direttori generali, la direzione generale e il servizio informatico sono perciò invitati “ad intraprendere tutte le iniziative necessarie al fine di dismettere nelle strutture penitenziarie, da parte di tutto il personale, l’uso, sia verbale che scritto, della terminologia ‘infantilizzante’ e diminutiva, nonché le interlocuzioni orali, soprattutto quelle dirette al detenuto”.
Abbiamo voluto richiamare il problema della infantilizzazione del linguaggio per evidenziare l’importanza dei registri comunicativi in carcere visto che la quotidianità detentiva si fonda su flussi di comunicazione e sulla continua negoziazione di significati.
Molti sono gli esempi che ulteriormente si potrebbero riportare rispetto alla crucialità della comunicazione e ai vuoti comunicativi derivanti dal mancato accesso alla lingua veicolare, primo fra tutti la fruibilità limitata della carta dei diritti dei detenuti: a tal proposito sottolineiamo come a fronte dei 98 istituti visitati dall’Osservatorio durante il 2019, solo 39 disponevano del documento tradotto nelle lingue straniere più diffuse. 6)La scelta di riportare il dato del 2019 è riconducibile alla più ampia portata della stima, se confrontata al più esiguo numero di visite del 2020, che ha risentito delle chiusure correlate alla prevenzione della diffusione del coronavirus. Tuttavia, nonostante la ridotta possibilità di accesso alle strutture detentive, anche a fronte dei 44 istituti visitati nel 2020, solo 16 disponevano della carta dei diritti tradotta nelle lingue straniere più diffuse
Infine, scegliamo di fare un cenno alla forma di comunicazione che è forse la più importante nella scansione della vita del detenuto attraverso le riflessioni di Luigi Manconi sulla domandina: “La domandina è il genere letterario più diffuso dentro il carcere. È un genere letterario, a sua volta, selettivo e discriminatorio, perché divide tra coloro che la sanno compilare e coloro che se la devono far scrivere, tra coloro che la devono tradurre in lingua italiana e coloro che invece in lingua italiana la sanno scrivere. Già questo crea, all’interno delle carceri, un’intensa attività. Fa parte di una sorta di retorica carceraria ma corrisponde anche a un concreto elemento di coesione e di solidarietà il fatto che, all’interno degli Istituti penitenziari, ci sono quei detenuti che compilano le domandine per gli altri, così come compilano le istanze, le difese, e istruiscono, formano sui diritti del detenuto 7)L. Manconi, Carcere tra “domandina” e bisogno di comunicazione, Intervento in ‘La scrittura in carcere- esperienze a confronto’ Casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso, 27 febbraio 2007.”. Queste annotazioni a nostro modo di vedere efficacemente sintetizzano il significato più profondo della presa di parola in carcere ovvero l’accesso ai diritti e la costruzione di relazioni di aiuto e di reciprocità, tutti elementi necessari per alleviare l’isolamento e promuovere la risocializzazione.
Il fatto che l’attività di mediazione culturale debba essere unicamente favorita e che l’amministrazione penitenziaria possa decidere se avvalersi di tale risorsa segnala un anacronismo della normativa vigente, se paragonata alle considerevoli presenze straniere all’interno dei penitenziari.
Il mediatore linguistico-culturale! Chi era costui?
Nonostante l’ormai consolidata sovrarappresentazione della componente straniera all’interno degli istituti di pena e l’importanza della mediazione linguistico-culturale che abbiamo provato a evidenziare nelle righe precedenti, la risposta istituzionale in termini di implementazione di risorse in questo ambito si rivela del tutto carente. Partendo dalla generale disciplina degli elementi del trattamento previsti dall’Ordinamento Penitenziario, l’articolo 15 racchiude all’interno del piano trattamentale «istruzione, lavoro, religione, attività culturali, ricreative e sportive, agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia». Stante il confluire di questi fattori nel piano trattamentale, la figura del mediatore linguistico-culturale sembra configurarsi come una presenza cruciale per la concreta messa in pratica di tali presupposti rieducativi, sia da un punto di vista intramurario, facilitando i meccanismi di comprensione e comunicazione del detenuto straniero nelle dinamiche della quotidianità detentiva, sia da un punto di vista extramurario, assolvendo al compito di intermediario per il mantenimento e lo sviluppo della rete di relazioni sociali che interessano il rapporto tra il recluso, il territorio circostante e gli eventuali collegamenti nei paesi di origine. Entrando più nello specifico, è l’articolo 35 del D.P.R. 230/2000 a prevedere la presenza dei mediatori all’interno del penitenziario, il cui secondo comma recita testualmente: «deve essere, inoltre, favorito l’intervento di operatori di mediazione culturale, anche attraverso convenzioni con gli enti locali o con organizzazioni di volontariato». Infine, il più recente provvedimento in materia è riscontrabile nel rinnovato articolo 80 dell’ordinamento penitenziario, che, in seguito alla modifica introdotta dal D. Lgs. n. 123 del 2018 ha visto l’inserimento del mediatore culturale tra i professionisti esperti di cui l’amministrazione penitenziaria può avvalersi per le attività di osservazione e trattamento.
Per quanto tali disposizioni individuino nel lavoro del mediatore culturale una risorsa per la facilitazione della comprensione, del dialogo e della comunicazione tanto tra detenuti appartenenti a culture diverse, quanto tra ristretti stranieri e istituzione, l’utilizzo in chiave ipotetica del lessico adottato nei commi degli articoli dedicati alla disciplina del ruolo del mediatore indica come il suo coinvolgimento sia del tutto discrezionale. In tal senso, il fatto che l’attività di mediazione culturale debba essere unicamente favorita e che l’amministrazione penitenziaria possa decidere se avvalersi di tale risorsa segnala un anacronismo della normativa vigente, se paragonata alle considerevoli presenze straniere all’interno dei penitenziari. Con un dato pari a 17.344 unità su 53.365 detenuti, i reclusi stranieri contano oggi il 32,5% di presenze sul totale della popolazione ristretta 8)Ministero della Giustizia. Detenuti presenti italiani e stranieri: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST165666&previsiousPage=mg_1_14. All’interno di questa consistente compagine, superano il centinaio le nazionalità presenti negli istituti penali italiani, tra cui la marocchina risulta la più rappresentata con il 19,1% sul totale degli stranieri; a seguire si collocano la romena (11,9%), l’albanese (11,3%), la tunisina (10,2%) e la nigeriana (8,4%).
A fronte di una percentuale di stranieri che, seppur con qualche oscillazione, negli ultimi anni non è mai scesa sotto il 30%, sono solo 176 i mediatori ufficialmente operanti presso le strutture detentive del territorio nazionale.
La reale consistenza numerica dei mediatori culturali
Di contro, se raffrontati con il livello di eterogeneità appena descritto, i numeri delle figure professionali esperte in mediazione sono notevolmente bassi. Da un punto di vista prettamente quantitativo, infatti, a fronte di una percentuale di stranieri che, seppur con qualche oscillazione, negli ultimi anni non è mai scesa sotto il 30%, sono solo 176 i mediatori ufficialmente operanti presso le strutture detentive del territorio nazionale, con un’incidenza di appena lo 0,88% ogni 100 detenuti stranieri 9)Ministero della Giustizia. Mediatori culturali operanti presso gli istituti penitenziari distinti per area d’intervento – Anno 2019: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST283973&previsiousPage=mg_14_7. Più specificatamente, dividendo l’attività dei mediatori in base all’area di intervento: 96 sono coloro impegnati nella gestione dei reclusi provenienti dall’Africa (di cui 49 specializzati nella presa in carico di persone nordafricane e 47 operanti con reclusi provenienti da altre zone dell’Africa); 40 sono destinati alla mediazione con detenuti provenienti dall’Est Europa; 19 dal Medio e l’Estremo Oriente; 9 dal Sudamerica e 12 rientranti nell’aspecifica categoria “altro”. Nonostante questi dati siano stati resi pubblici e aggiornati alla fine del 2019 dal Ministero della Giustizia, l’ultimo dato relativo all’ufficiale dotazione organica dell’Amministrazione Penitenziaria (2017) 10)Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – Dotazione organica: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_29_4_5.page segnala la presenza di 67 “funzionari della professionalità di mediazione culturale” alle dirette dipendenze del ministero, di cui uno impiegato nell’amministrazione centrale e 66 effettivamente operanti all’interno degli istituti. Pertanto, considerato il vistoso disavanzo che intercorre tra i 67 mediatori ufficialmente previsti in pianta organica e le – seppur ancora esigue – 176 persone di fatto operanti nelle strutture penitenziarie, resta indecifrabile l’effettiva ripartizione delle unità.
Non essendo specificata la tipologia di servizio – interno o esterno – prestato dai mediatori, non è chiara la formalizzazione della loro presenza intramuraria. Considerata la vaghezza che contraddistingue l’elenco capitoli di spesa dell’amministrazione penitenziaria, anche l’analisi del budget relativo alle spese previste per coprire i costi di mediazione non aiuta a fare luce sul loro inquadramento professionale: rientrando nella generica fascia comprendente gli “onorari a professionisti esperti per l’attività di osservazione e trattamento dei detenuti” – cui è destinata una somma pari a 4.491.406€ 11)Supplemento ordinario n. 46 alla Gazzetta Ufficiale – 31 dicembre 2019: https://www.gazzettaufficiale.it/do/atto/serie_generale/caricaPdf?cdimg=19A0809400100050110001&dgu=2019-12-31&art.dataPubblicazioneGazzetta=2019-12-31&art.codiceRedazionale=19A08094&art.num=5&art.tiposerie=SG – non è facile intuire quali siano gli effettivi destinatari di tali finanziamenti.
Ferma restando tale zona d’ombra in merito alla formalizzazione dell’impiego di tale figura professionale, noto è che tra i 176 mediatori effettivamente operanti all’interno degli istituti figurano molti volontari, soluzione in linea con il generale e imprescindibile ruolo svolto dal volontariato penitenziario in varie attività di supporto e assistenza. Accanto a costoro si collocano inoltre professionisti che prestano servizio grazie a sovvenzioni con enti pubblici o privati su base regionale o provinciale. 12)Un esempio è il caso della regione Lazio, che nel 2018 ha disposto uno stanziamento di 400.000 euro per la mediazione interculturale negli istituti penitenziari, gestibili su base comunale. Ancora, come più volte rilevato durante le visite dell’Osservatorio, altri lavorano attraverso la concordata disponibilità “a chiamata”, in base alle necessità del momento.
L’esigenza di ricorrere a risorse integrative su base territoriale e spesso volontaria per far fronte alla richiesta del servizio segnala la necessità di un rafforzamento dell’organico, cui non sembra corrispondere una concreta presa in carico. A tal proposito, l’unico intervento che giunge dal D.A.P. è l’indizione di un concorso volto al reclutamento di 20 mediatori culturali 13)Ministero della Giustizia. https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_8_1.page?contentId=SDC93691&previsiousPage=mg_1_6_1.
Si segnali come al momento dell’indizione del concorso i posti messi a bando fossero 15. L’elevazione da 15 a 20 unità è stata comunicata con avviso recante data 26 gennaio 2021.. Sebbene la pubblicazione del bando risalga al febbraio 2018, l’effettivo svolgimento delle prove preselettive ha avuto inizio nel settembre 2020, per poi essere interrotto a causa della disposta sospensione dei concorsi in virtù delle misure attuate per la prevenzione della diffusione del contagio da Covid-19. Nonostante tale cenno istituzionale, il bando concorsuale sembra mostrare almeno tre nodi critici: il primo è relativo allo scarso numero di posizioni aperte, che rischia di non sopperire neanche in minima parte alle esigenze reali; il secondo è riconducibile al requisito del possesso della cittadinanza italiana per presentare domanda, aspetto che, rientrando nella più controversa e dibattuta questione circa il coinvolgimento degli stranieri nei concorsi pubblici, in questo specifico caso potrebbe gravare su potenziali professionisti stranieri che non abbiano ancora ottenuto la cittadinanza in virtù delle lungaggini dell’iter burocratico previsto dallo Stato italiano; il terzo, infine, ha a che vedere con le lingue richieste durante le selezioni. Nello specifico, infatti, è prevista la conoscenza di una lingua straniera a scelta del candidato tra inglese, francese, tedesco e spagnolo. Considerate le nazionalità maggiormente rappresentate all’interno degli istituti di pena, tuttavia, emerge uno squilibrio tra la programmata assunzione di mediatori esperti nelle lingue europee e le aree di intervento che necessiterebbero di un incremento di risorse, prima tra tutte quella riconducibile alla cultura e alla lingua araba.
Conclusioni
In un universo fortemente etnicizzato come quello carcerario, la figura del mediatore culturale si configura come una risorsa cruciale nelle dinamiche sociali penitenziarie. In grado di irrobustire le capacità e le reti comunicative – interne ed esterne – del recluso straniero, di comprenderne a fondo le esigenze e di fare da tramite per la reale comprensione dei diritti e i doveri annessi alla sua posizione, l’esperto in mediazione dovrebbe essere considerato a tutti gli effetti parte integrante del personale penitenziario e non una figura il cui inserimento è semplicemente favorito. La carenza di mediatori si riflette sulla generale condizione di svantaggio in cui versano i ristretti stranieri, amplificandone l’alienazione. Tangibili sono gli effetti legati al mancato supporto nei confronti di questi ultimi, che rischiano di subire le conseguenze dell’applicazione di un trattamento lacunoso, ben lontano dall’essere ponderato, calibrato e individualizzato.
In definitiva, alla stregua di quanto detto, è auspicabile un concreto intervento istituzionale in materia, che guardi allo stabile coinvolgimento della figura del mediatore in ottica complementare e integrativa rispetto alle altre professionalità intramurarie.
References
↑1 | S. Vertovec, Super-diversity and its implication, ‘Ethnic and Racial Studies’. 30 (6): 1024–1054 |
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↑2 | E. Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Einaudi, Torino 1968. |
↑3 | A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002. |
↑4 | E. Goffman, op.cit., p.71 |
↑5 | Circolare del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria 30 marzo 2017. |
↑6 | La scelta di riportare il dato del 2019 è riconducibile alla più ampia portata della stima, se confrontata al più esiguo numero di visite del 2020, che ha risentito delle chiusure correlate alla prevenzione della diffusione del coronavirus. Tuttavia, nonostante la ridotta possibilità di accesso alle strutture detentive, anche a fronte dei 44 istituti visitati nel 2020, solo 16 disponevano della carta dei diritti tradotta nelle lingue straniere più diffuse |
↑7 | L. Manconi, Carcere tra “domandina” e bisogno di comunicazione, Intervento in ‘La scrittura in carcere- esperienze a confronto’ Casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso, 27 febbraio 2007. |
↑8 | Ministero della Giustizia. Detenuti presenti italiani e stranieri: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST165666&previsiousPage=mg_1_14 |
↑9 | Ministero della Giustizia. Mediatori culturali operanti presso gli istituti penitenziari distinti per area d’intervento – Anno 2019: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST283973&previsiousPage=mg_14_7 |
↑10 | Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – Dotazione organica: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_29_4_5.page |
↑11 | Supplemento ordinario n. 46 alla Gazzetta Ufficiale – 31 dicembre 2019: https://www.gazzettaufficiale.it/do/atto/serie_generale/caricaPdf?cdimg=19A0809400100050110001&dgu=2019-12-31&art.dataPubblicazioneGazzetta=2019-12-31&art.codiceRedazionale=19A08094&art.num=5&art.tiposerie=SG |
↑12 | Un esempio è il caso della regione Lazio, che nel 2018 ha disposto uno stanziamento di 400.000 euro per la mediazione interculturale negli istituti penitenziari, gestibili su base comunale. |
↑13 | Ministero della Giustizia. https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_8_1.page?contentId=SDC93691&previsiousPage=mg_1_6_1. Si segnali come al momento dell’indizione del concorso i posti messi a bando fossero 15. L’elevazione da 15 a 20 unità è stata comunicata con avviso recante data 26 gennaio 2021. |