Lo scorso 9 marzo il Tribunale di Siena ha condannato cinque poliziotti penitenziari accusati di tortura ai danni di una persona detenuta. I fatti sono avvenuti nell’ottobre 2018 all’interno del carcere di San Gimignano. Antigone si era costituita parte civile nel processo. Nel comunicato che ha seguito la condanna si fa sapere che “il Collegio ha riconosciuto la natura di autonomo titolo di reato della fattispecie di tortura cd. Pubblica (o ‘di Stato’ o verticale o propria) di cui all’art. 613 bis comma 2 c.p., a tal fine valorizzando, tra l’altro, gli obblighi costituzionali e sovranazionali gravanti sullo Stato italiano in materia di incriminazione degli atti di tortura”. Vengono citate la Costituzione italiana, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tutte impongono che la tortura sia reato.
Vi è un obbligo di codificazione del crimine di tortura nell’ordinamento italiano, obbligo che dovrebbe metterlo al riparo da qualsiasi stravagante intenzione di abrogarlo
Vi è un obbligo di codificazione del crimine di tortura nell’ordinamento italiano, obbligo che dovrebbe metterlo al riparo da qualsiasi stravagante intenzione di abrogarlo. È proprio l’abrogazione del reato di tortura introdotto nel 2017 nel codice penale italiano che è prevista dalla proposta di legge del novembre scorso a prima firma della deputata Imma Vietri di Fratelli d’Italia, proposta che, adducendo motivazioni tante volte ascoltate nel passato, vorrebbe farne una mera circostanza attenuante. Nella relazione che l’accompagna si legge che “l’ordinamento penale italiano contempla già una sufficiente ‘batteria di norme repressive’”, riprendendo così antichi argomenti in malafede superati dai dati di realtà.
Non vi era modo, con gli strumenti giuridici a disposizione, di non incorrere nella prescrizione o comunque nell’impunità dovuta a incriminazioni meno gravi
Per quasi trent’anni l’Italia è stata inadempiente davanti al mondo intero rispetto agli obblighi di criminalizzazione della tortura imposti dalla Convenzione delle Nazioni Unite. “Chiamiamola tortura”, chiedeva Antigone con la sua omonima campagna. Ma no, è sufficiente parlare di percosse, lesioni personali, sequestro di persona, abuso di autorità, violenza privata, minacce e via dicendo, hanno risposto per decenni le autorità italiane. Prima del 2017 la parola tortura non esisteva nel nostro ordinamento. Quando nel 2010 l’Italia passò al vaglio dello Human Rights Council delle Nazioni Unite, si oppose all’introduzione del reato con gli stessi argomenti che tornano oggi nella retorica dell’estrema destra, sostenendo che “la legislazione italiana ha disposto misure sanzionatorie a fronte di tutte le condotte che possono ricadere nella definizione di tortura (…). Pertanto, la tortura è punita anche se essa non costituisce un particolare tipo di reato ai sensi del codice penale italiano”. Non passò molto tempo che, nel gennaio 2012, trovandosi a giudicare delle atroci torture subite da due detenuti nel carcere di Asti in un processo seguito da Antigone, un giudice scrisse nero su bianco nella sentenza che “i fatti avrebbero potuto agevolmente qualificarsi come tortura” ma tuttavia “in Italia non è prevista alcuna fattispecie penale che punisca coloro che pongono in essere comportamenti che (universalmente) costituiscono il concetto di tortura” e quindi non vi era modo, con gli strumenti giuridici a disposizione, di non incorrere nella prescrizione o comunque nell’impunità dovuta a incriminazioni meno gravi.
Da quella sentenza, grazie all’intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, si arrivò all’introduzione del reato di tortura nel luglio del 2017. Un testo non perfetto, ma che permette oggi di pronunciare quella parola nelle aule di tribunale. Tornare indietro non si può, come fortemente abbiamo voluto sottolineare con il titolo del presente Rapporto.
Qualsiasi ipotesi di abrogazione o riforma della legge sulla tortura non può non considerare che il campo giuridico di riferimento non è dato solamente dalla discrezionalità parlamentare
La codificazione del crimine nell’ordinamento giuridico interno è esito di un adattamento a norme provenienti dall’ordinamento internazionale, che l’art. 117 della Costituzione rende sovraordinate alla legge ordinaria. Qualsiasi ipotesi di abrogazione o riforma della legge sulla tortura non può non considerare che il campo giuridico di riferimento non è dato solamente dalla discrezionalità parlamentare. Esiste inoltre un obbligo costituzionale diretto: “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”, afferma l’art. 13 al quarto comma. Notava Luigi Ferrajoli come l’idea di punizione sia presente nella Carta esclusivamente in questa frase, rendendo la tortura il solo crimine previsto costituzionalmente in forma esplicita. “Il paradigma del diritto penale minimo”, scriveva prima che la tortura divenisse reato in Italia, “richiede una rifondazione della scala dei beni giuridici meritevoli di tutela penale: per esempio che si introduca il delitto di tortura (che manca, vergognosamente, nell’ordinamento italiano)”.
L’interpretazione che della norma è stata data dai giudici in questi primi anni di applicazione ha punto per punto rassicurato coloro che, per un motivo o per un altro, ritenevano che il reato introdotto sarebbe stato inapplicabile
Vi è dunque un obbligo costituzionale di punire i torturatori. E, nonostante i limiti del testo di legge introdotto nel 2017, ciò sta adesso avvenendo. L’interpretazione che della norma è stata data dai giudici in questi primi anni di applicazione ha punto per punto rassicurato coloro che, per un motivo o per un altro, ritenevano che il reato introdotto sarebbe stato inapplicabile (perché la richiesta di plurime condotte avrebbe escluso eventi non ripetuti a distanza di tempo, perché il trauma psichico non sarebbe mai stato verificabile, perché la crudeltà non sarebbe un concetto adatto a fondare l’antigiuridicità del comportamento). I processi per tortura vanno avanti. Il reato viene contestato e si arriva alle condanne. Attraverso l’interpretazione e la cultura giuridica dei magistrati, la tortura potrebbe inoltre pienamente tornare nell’alveo originale di delitto proprio e non generico. È importante in questo senso che la sentenza sui fatti di San Gimignano abbia voluto dare rilievo al tema, in un momento politico dove il reato di tortura torna sotto attacco.
Al di là della proposta di legge per la sua abrogazione – che il Governo sa bene che non può che limitarsi a essere una trovata provocatoria senza esito, se l’Italia non vuole venire sepolta dalla vergogna internazionale – sono state avanzate ipotesi di riforma della legge sulla tortura, giustificate ufficialmente dall’intento di renderne il testo più coerente con le previsioni delle Nazioni Unite. Il ministro Carlo Nordio ha reso noto di voler intervenire sul reato per renderlo a dolo specifico, ovvero circoscritto alle finalità di estorcere informazioni, punire, intimidire, discriminare. Finalità non facili da recuperare oggi, a procedimento avanzato, nell’aula nella quale si sta valutando la mattanza avvenuta nell’aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere come altrove. Ha annunciato inoltre di voler separare il riferimento ai trattamenti inumani o degradanti, ben sapendo quanto tale espressione sia fondamentale nell’equilibrio del testo attuale. Il sottosegretario Andrea Ostellari ha inoltre parlato di interventi per modificare le norme sull’adempimento di un dovere. “Se un ristretto appicca fuoco ad una cella e non vuole uscire”, ha affermato, “per salvarlo gli agenti sono costretti a trascinarlo fuori con la forza. Ad oggi questa azione potrebbe anche essere oggetto di incriminazione”. No, sottosegretario, quei poliziotti non potrebbero venire accusati di tortura. E infatti non è mai accaduto in questi anni.
Questa è la tortura, non l’adempimento del proprio dovere. E finalmente la tortura è punita in Italia. L’Italia democratica terrà gli occhi ben aperti affinché non si faccia neanche il più piccolo passo indietro.
Questa è la tortura, non l’adempimento del proprio dovere. E finalmente la tortura è punita in Italia. L’Italia democratica terrà gli occhi ben aperti affinché non si faccia neanche il più piccolo passo indietro.
Si legga invece le imputazioni dei processi in corso: “entrava nella sua cella e, dopo avergli chiesto se avesse voluto farsi una doccia, lo aggrediva colpendolo con violenti schiaffi in faccia e sul collo, contestualmente insultandolo chiamandolo ‘Merda’”; “una violenza cieca ai danni di detenuti (…) che veniva esercitata addirittura su uomini immobilizzati, o affetti da patologie ed aiutati negli spostamenti da altri detenuti, e addirittura non deambulanti, e perciò costretti su una sedia a rotelle”; dopo aver condotto in infermeria un detenuto, gli sputavano addosso mentre uno di loro pronunciava la frase “figlio di puttana, ti devi impiccare”, e lo colpivano con violenti pugni al volto a seguito dei quali l’uomo perderà un dente incisivo superiore; “costretti senza cibo, e, per 5 giorni, senza biancheria da letto e da bagno, senza ricambio di biancheria personale, senza possibilità di fare colloqui con i familiari; tant’è che alcuni detenuti indossavano ancora la maglietta sporca di sangue, e, per il freddo patito di notte, per la mancanza di coperte e di indumenti, erano stati costretti a dormire abbracciati”; “oltre alle violenze, venivano imposte umiliazioni degradanti – far bere l’acqua prelevata dal water, sputi, ecc. –, che inducevano nei detenuti reazioni emotive particolarmente intense, come il pianto, il tremore, lo svenimento, l’incontinenza urinaria”.