L’ultimo atto in tema di politiche sulle droghe risale alla VI Conferenza Nazionale sulle dipendenze – “Oltre le fragilità”, che si è tenuta a Genova il 27 e 28 Novembre 2021, il cui merito è stato mettere al centro dell’agenda politica alcune delle proposte presentate da un rete di organizzazioni di cui anche Antigone fa parte, la “Rete per un cambio radicale delle politiche sulle droghe”, e dal mondo dei servizi per le tossicodipendenze.
Il governo in carica era quello di Mario Draghi e della Ministra per le Politiche giovanili con delega alle droghe Fabiana Dadone che, dopo ben dodici anni di inattività e lassismo politico (con buona pace del Dipartimento delle Politiche Antidroga), ha convocato la Conferenza governativa costruendo un percorso condiviso e partecipato con tutti gli stakeholder.
Della Conferenza Nazionale di Genova restano proposte e indicazioni importanti per la regolamentazione di un fenomeno criminale in crescita sia in termini di produzione che di diffusione globale
Della Conferenza Nazionale di Genova restano proposte e indicazioni importanti per la regolamentazione di un fenomeno criminale in crescita sia in termini di produzione che di diffusione globale, il cui giro d’affari nel 2021 è stato pari a 16,2 miliardi di euro, di cui circa il 39% attribuibile al consumo dei derivati della cannabis e quasi il 32% all’utilizzo di cocaina.
Da Genova, si sono levate voci autorevoli quali quella dell’ex Procuratore Antimafia Federico Cafiero De Raho, del mondo scientifico ed accademico, unite nel denunciare il fallimento delle politiche sulle droghe degli ultimi 40 anni e la necessità di cambiare rotta sperimentando modelli di decriminalizzazione e depenalizzazione che il resto del mondo sta praticando da tempo.
La “Rete per un cambio radicale delle politiche sulle droghe” aveva dato merito alla Ministra Dadone per il lavoro e l’attenzione ai temi sollevati, aprendo una discussione, dopo la Conferenza, per valutare l’impatto delle politiche penali di criminalizzazione a carico delle persone che usano droghe, l’urgenza di superare il carcere e di spingere verso le misure alternative sin dalle prime fasi del procedimento penale. Come Rete avevamo ragionato molto riguardo le alternative al carcere provando ad immaginare, per alcune tipologie di condannati per reati di droga, forme di reinserimento semi-residenziali in grado di offrire da un lato la sicurezza, dall’altro il reinserimento sociale e lavorativo.
La caduta del Governo Draghi e l’avvento del nuovo Governo hanno interrotto quel percorso riformatore che aveva provato a voltare pagina guardando a Paesi, come la Germania, che nel 2024 legalizzerà la cannabis e i suoi derivati
Tuttavia, la caduta del Governo Draghi e l’avvento del nuovo Governo hanno interrotto quel percorso riformatore che aveva provato a voltare pagina guardando a Paesi, come la Germania, che nel 2024 legalizzerà la cannabis e i suoi derivati.
Dopo la Conferenza governativa, la questione è caduta nell’oblio della politica se non fosse per la Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze 2022 che ricorda l’urgenza di tornare ad occuparsi del tema delle sostanze stupefacenti, della salute delle persone e del tema della cannabis terapeutica. Dalla Relazione si legge di un mercato sempre più fluido e performante sia in termini di produzione che di traffico.
Alla fine del 2021 erano 11.885 le persone ristrette in carcere per i reati di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti (art.73 DPR n. 309/1990), 1.028 per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 DPR n. 309/1990) e 5.971 per la violazione di entrambi gli articoli.
Nel 2021, sui 20.797 ragazzi in carico agli USSM, 3.856 avevano compiuto reati droga-correlati. 3.761 per violazione dell’articolo 73, 23 per la violazione dell’articolo 74 e 72 per la violazione di entrambi.
Di recente, qualche noto esponente del Governo Meloni ha fatto sapere che l’esecutivo apporterà delle modifiche al Testo unico in materia di stupefacenti. Sulla scia della tolleranza zero, una delle proposte ripresa dai media è la modifica dell’art. 73 comma 5 fattispecie per i fatti di lieve entità. L’altra è sulle Comunità terapeutiche come alternativa al carcere.
Sul primo punto, va detto che, il governo vorrebbe innalzare il tetto di pena del comma 5 ex art 73 D.P.R.309/90 dall’attuale tetto massimo di 2 anni a 5 anni di reclusione.
Sulla seconda indicazione, è il Sottosegretario Delmastro a spiegarne le ragioni: “ ll sovraffollamento carcerario è risolvibile solo affrontando il problema delle dipendenze. Immagino di coinvolgere il terzo settore, comunità chiuse in stile San Patrignano per costruire un percorso alternativo alla detenzione.”
Ora, volendo fare uno sforzo anche solo sul piano logico giuridico, è chiaro che, le due proposte di legge non stanno insieme. La prima, andando a inasprire le pene per i fatti di lieve entità, spalancherà le porte del carcere o delle Comunità a moltissimi soggetti che, oggi, pur nell’ipotesi di una condanna, scelgono i lavori di pubblica utilità per il tempo di pena convertito. Un’alternativa al carcere, quella dei lavori di pubblica utilità, voluta anche dalla Riforma Cartabia che rafforza l’accesso all’istituto con pene fino a 3 anni di reclusione.
Si fa fatica a comprendere la scelta di intervenire sulla fattispecie di lieve entità, da parte del Governo, andando a rompere con principi cardine della scienza penale quali la proporzionalità e l’offensività della condotta
Pertanto, si fa fatica a comprendere la scelta di intervenire sulla fattispecie di lieve entità, da parte del Governo, andando a rompere con principi cardine della scienza penale quali la proporzionalità e l’offensività della condotta. Piuttosto sulla scorta delle indicazioni della Corte Costituzionale nella sentenza 40/2019 ci saremmo aspettati un intervento del Parlamento sul comma 5 che segnasse finalmente un diverso trattamento sanzionatorio tra droghe leggere e pesanti. Una scelta, evidentemente quella dell’esecutivo, sulla scorta dei pacchetti sui rave, scafisti ed eco-attivisti, in nome di un diritto penale che diventa, tanto per citare le parole del Professor Massimo Pavarini, il diritto penale del nemico, nella specie versus i piccoli consumatori.
Tuttavia, se l’operazione Delmastro è quella di liberare il 30% dei detenuti dal carcere e mandarli in Comunità a curarsi, la domanda è: perché aggravare il comma 5 e non intervenire sulle molte condotte riconducibili alla detenzione e possesso responsabili, in buona parte, del sovraffollamento carcerario? Bisognerebbe ricordare al Sottosegretario che l’attuale T.U. contempla già le misure alternative alla detenzione quando si tratta di soggetti condannati per reati di droga.
Il D.P.R. 309/90, nonostante pecchi di scelte sanzionatorie esasperate, si è posto, sin dai suoi albori, come norma di rottura rispetto al passato. Il fine del Testo unico, nella parte dedicata ai soggetti tossicodipendenti raggiunti da un procedimento penale per fatti correlati al proprio status, era ed è poter offrire una scelta alternativa al carcere per recidere i contatti con i circuiti criminali e per liberare queste persone dalla dipendenza.
Le misure alternative al carcere intendono offrire al condannato tossicodipendente la cura, il recupero e la riabilitazione
Così è nato quel corpo di norme che sono gli artt. 90 – 94 del D.P.R.309/90. Le misure alternative al carcere intendono offrire al condannato tossicodipendente la cura, il recupero e la riabilitazione. È pur vero che la realtà delle cose è lontana dallo spirito della legge, così l’accesso alle Comunità diventa un percorso ad ostacoli soprattutto per chi si trova in carcere perché recidivo o con cumuli che non si possono sciogliere.
Accade che, i programmi terapeutici siano redatti dopo mesi per mancanza di assistenti sociali e di altre figure professionali in carcere ma anche banalmente, perché la persona non è segnalata al Serd al momento della domanda. Condizione, questa, ineludibile per l’accesso all’affidamento per le persone tossicodipendenti. Inoltre, il Testo unico prevede, per i soggetti che non possono usufruire delle misure alternative e che restano in carcere da imputati e condannati, una serie di interventi terapeutici e riabilitativi interni all’istituto. Sono gli artt. 95 e 96 a regolare il trattamento di questi soggetti all’interno dei reparti di detenzione. Nelle carceri italiane, ci sono istituti con sezioni dedicate appositamente ai tossicodipendenti dove medici, infermieri e operatori socio sanitari prendono in cura soggetti con problemi di dipendenza e di frequente con doppia diagnosi.
Queste sezioni sono luoghi separati ed elisi dagli altri reparti, in cui i soggetti sono trattati perlopiù con terapie farmacologiche e sostitutive e dove le ore per il colloquio con lo psicologo o l’operatore sono insufficienti. Si tratta di sezioni in cui il soggetto è in una condizione di attesa della terapia farmacologica senza poter impiegare il tempo vuoto in attività laboratoriali e progetti. I L.e.a. sono applicati solo parzialmente e la riduzione del danno ancora meno.
Allora, il punto non è se la Comunità è la vera alternativa al carcere ma come lo Stato intende trattare e gestire le condotte delle persone che usano droghe. Se, cioè, intendiamo massimizzare le comunità e riempirle di persone che non sono tossicodipendenti bensì uomini e donne con storie differenti o se preferiamo ragionare sulla riduzione delle fattispecie incriminatorie, in combinazione con un più esteso e qualificato ricorso alle misure alternative alla detenzione, creando una rete tra il mondo della giustizia, dei servizi sociali e degli Uepe?
Dare soggettività alle persone che usano droghe equivale ad offrire loro delle alternative, un percorso e un futuro possibile. La questione criminale che si connette al fenomeno delle droghe richiede risposte che non possono essere quelle di 40 anni fa
Dare soggettività alle persone che usano droghe equivale ad offrire loro delle alternative, un percorso e un futuro possibile. La questione criminale che si connette al fenomeno delle droghe richiede risposte che non possono essere quelle di 40 anni fa, con politiche repressive completamente disancorate dalla realtà delle cose. Per queste ragioni le proposte del Sottosegretario Delmastro ci sembrano sbagliate e fuori dalla realtà dei tempi.
Sono passati dieci anni da quando la Corte Costituzionale dichiarò la legge Fini Giovanardi incostituzionale. Era una legge sbagliata, retriva e pericolosa che parificava tutte le sostanza sotto la stessa egida sanzionatoria, che imponeva agli operatori di denunciare i loro pazienti in caso di violazione del programma socio terapeutico, che aveva innalzato, senza una ragione, il quantum di pena per accedere alle Comunità invece che ritoccare la norma prodroma e responsabile di maggiore incarcerazione. Una legge, la Fini Giovanardi, che portò le carceri a superare il tetto dei 67.000 detenuti!
La politica torni ad occuparsi di droghe chiamando a raccolta gli esperti, gli operatori e il mondo scientifico per ragionare sui possibili modelli di regolamentazione anche sull’uso terapeutico evitando di recarsi nuovamente a Bruxelles con proposte proibizioniste e dal sapore revanchista.