Nel 2022, su 573 segnalazioni ricevute, 88 riguardavano questioni inerenti i trasferimenti
Fra le varie problematiche che vengono quotidianamente segnalate all’ufficio del Difensore Civico, quella dei trasferimenti da istituto a istituto è senz’altro la più frequente.
Stando ai dati elaborati dall’associazione Antigone infatti, nel 2022, su 573 segnalazioni ricevute, 88 riguardavano questioni inerenti i trasferimenti, seguite da 77 richieste relative a problemi di salute.
Preliminarmente, occorre precisare che le 573 segnalazioni non corrispondono a 573 casi singoli, dal momento che spesso è la stessa persona che più volte contatta l’ufficio del Difensore Civico o per fornire aggiornamenti o per esporre problematiche di diversa natura. Inoltre, per ogni segnalazione ricevuta, i volontari del Difensore Civico possono elaborare anche più di una risposta, in quanto talvolta la situazione di specie impone la necessità di valutare diverse strade e di interloquire con istituzioni diverse.
A fronte di queste 88 segnalazioni, i volontari, nel corso dell’anno precedente, hanno redatto e inviato alle persone detenute 26 istanze di trasferimento; sono stati invece redatti e inoltrati al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – e, in taluni casi, al competente Provveditorato Regionale – 11 solleciti per richieste di trasferimento rimaste inevase. Le restanti segnalazioni sono state invece affrontate in altro modo, ad esempio rispondendo ai quesiti delle persone ristrette oppure fornendo supporto ai loro avvocati.
La compressione del diritto all’affettività è senz’altro una delle conseguenze più afflittive dello stato di detenzione
Effettivamente, la problematica inerente i trasferimenti risulta essere la più frequente nell’attività del Difensore Civico proprio perchè la necessità di ottenere un trasferimento da un istituto ad un altro risponde spesso ad esigenze vitali per le persone detenute, prima fra tutte quella di essere trasferite in istituti più vicini alla residenza dei loro cari, in quanto la compressione del diritto all’affettività è senz’altro una delle conseguenze più afflittive dello stato di detenzione. Circa i contatti con i propri cari, alle persone detenute – salvo l’applicazione di regimi detentivi speciali che prevedono ulteriori limitazioni – sono garantiti a livello normativo 6 colloqui visivi al mese, della durata di un’ora (prorogabile fino a un massimo di due) e un colloquio telefonico a settimana della durata di soli 10 minuti.
In più, spesso accade che molte delle persone detenute si trovino a scontare la pena in istituti distanti dal luogo di residenza proprio e della famiglia, cosa che impedisce anche quei pochi contatti visivi garantiti mensilmente, non solo realizzando uno sradicamento della persona dal proprio contesto di riferimento, ma anche e soprattutto separandola dagli affetti più cari, con inevitabili ripercussioni negative che, in un contesto quale quello penitenziario, sono destinate ad amplificarsi.
La maggior parte delle richieste di trasferimento hanno alla base l’esigenza di riavvicinarsi alla propria famiglia
Quanto appena detto trova conferma nell’attività quotidiana dell’ufficio del Difensore Civico, in quanto la maggior parte delle richieste di trasferimento hanno alla base l’esigenza di riavvicinarsi alla propria famiglia. La stragrande maggioranza delle istanze predisposte dai volontari sono state infatti motivate richiamando le norme poste a tutela del diritto all’affettività, le quali trovano il loro presupposto applicativo proprio nel principio di territorialità della pena di cui all’articolo 42, co. 2 O.P., il quale sancisce che “Nel disporre i trasferimenti i soggetti sono comunque destinati agli istituti più vicini alla loro dimora o a quella della loro famiglia ovvero al loro centro di riferimento sociale, da individuarsi tenuto conto delle ragioni di studio, di formazione, di lavoro o salute”.
In forza di detto principio, le persone che entrano in carcere dalla libertà, in un primo momento – per esigenze di sicurezza ed investigative – vengono destinate all’istituto più vicino al locus commissi delicti (il luogo in cui è stato commesso il reato), anche se lontano dal luogo di residenza. Successivamente, il detenuto deve essere trasferito in un istituto che sia il più possibile vicino al luogo di residenza suo o dei suoi cari, oppure – se trattasi di stranieri o soggetti senza appoggi familiari all’esterno – si cerca di individuare il centro di riferimento sociale, seguendo i criteri indicati dal comma 2. Purtroppo, nella prassi penitenziaria ciò non sempre avviene, con inevitabile sofferenza sia per i ristretti – che si ritrovano a vivere un forte senso di abbandono nei primi mesi di detenzione – sia per i loro cari.
La problematica dell’allontanamento dai propri nuclei familiari, infatti, non riguarda soltanto i detenuti in prima persona, ma investe anche le famiglie stesse che subiscono la separazione
La problematica dell’allontanamento dai propri nuclei familiari, infatti, non riguarda soltanto i detenuti in prima persona, ma investe anche le famiglie stesse che subiscono la separazione. A soffrire la lontananza, infatti, sono anche i numerosissimi figli e/o partners di chi è privato della libertà, amputati assieme ai detenuti del diritto all’intimità affettiva; questo comporta non soltanto una sofferenza talvolta ingiustificata per i familiari e per i figli, a maggior ragione se minori, ma soprattutto compromette il percorso risocializzante delle persone ristrette, le quali, senza una valida prospettiva di rientro nel proprio contesto sociale e senza il supporto costante delle persone care, sono fortemente disincentivate ad intraprendere con successo i percorsi trattamentali.
Rispettando il principio di territorialità della pena si eviterebbe, tra l’altro, la separazione traumatica di molti condannati dal resto della società, con inevitabile aumento del tasso di recidiva soprattutto quando, al termine di una pena scontata prevalentemente intra moenia, il soggetto viene rimesso in libertà e si ritrova in un luogo che non conosce e con cui non ha nessun tipo di legame. Tale aspetto è invece fondamentale per le persone detenute, le quali dovrebbero essere assistite e accompagnate nel difficile percorso di reinserimento sociale, soprattutto nel periodo più vicino al fine pena, durante il quale andrebbero avviati gli opportuni contatti con le realtà assistenziali presenti sul territorio e con coloro che all’esterno possono offrire un valido supporto alla risocializzazione, inclusi i familiari.
Oltre alle esigenze familiari, la normativa penitenziaria richiamata tutela anche le c.d. esigenze “trattamentali”, ossia quelle di studio e/o lavoro, che sono anch’esse alla base di molte istanze di trasferimento
Oltre alle esigenze familiari, la normativa penitenziaria richiamata tutela anche le c.d. esigenze “trattamentali”, ossia quelle di studio e/o lavoro, che sono anch’esse alla base di molte istanze di trasferimento: non di rado, chi si ritrova a dover scontare una pena detentiva decide di impiegare il tempo a disposizione lavorando oppure frequentando corsi scolastici o di formazione professionale, che peraltro costituiscono i principali elementi del trattamento risocializzante, in quanto offrono alternative concrete e opportunità spendibili all’esterno.
Tuttavia, non tutti gli istituti penitenziari offrono le stesse possibilità lavorative e scolastiche: vi sono istituti in cui sono previsti solo corsi di alfabetizzazione o corsi scolastici fino alla terza media, e istituti in cui sono attivi corsi scolastici di vario grado, inclusi i Poli Universitari, così come vi sono carceri in cui è possibile svolgere diverse attività lavorative – anche alle dipendenze di datori di lavoro esterni convenzionati – ed altri ove invece i lavori possibili sono solo quelli alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, che peraltro il più delle volte prevedono mansioni che non sono richieste nel mondo del lavoro.
Le persone detenute che richiedono il trasferimento per motivi di studio o di lavoro, di solito, sono persone che si trovano in situazioni diverse rispetto a coloro che chiedono il trasferimento per avvicinamento familiare
Dalle lettere ricevute dall’ufficio del Difensore Civico, emerge un aspetto in particolare: le persone detenute che richiedono il trasferimento per motivi di studio o di lavoro, di solito, sono persone che si trovano in situazioni diverse rispetto a coloro che chiedono il trasferimento per avvicinamento familiare. Ad esempio, chi avanza questo tipo di richiesta spesso si trova a scontare lunghe pene detentive o condanne a vita, ragione per cui l’elemento trattamentale diventa prioritario, anche in vista di un possibile accesso alle misure alternative; altre volte, invece, trattasi di persone che non hanno alcun riferimento stabile all’esterno dell’istituto; oppure, in taluni casi le persone detenute arrivano addirittura a chiedere di essere trasferite in istituti lontani dalle proprie famiglie pur di poter svolgere delle attività lavorative che da un lato consentano di impiegare utilmente il tempo della pena e dall’altro di contribuire, almeno in parte, alle necessità economiche delle proprie famiglie.
Infine, circa le istanze di trasferimento per motivi di studio e/o lavoro, è bene precisare che i tempi di risposta da parte dell’Amministrazione Penitenziaria sono generalmente più lunghi, in quanto per questo genere di istanze la normativa penitenziaria prevede un previo parere favorevole da parte della Direzione dell’istituto in cui si chiede di essere trasferiti, oltre all’assenso dell’istituto di provenienza, il che comporta altresì una maggiore difficoltà nell’ottenere l’accoglimento dell’istanza.
Una delle problematiche prevalenti afferisce alla mancata risposta da parte dell’Amministrazione Penitenziaria
Invero, una delle problematiche prevalenti afferisce alla mancata risposta da parte dell’Amministrazione Penitenziaria, la quale ai sensi dell’art. 42, ultimo comma L. 354/1975, ha l’obbligo di provvedere con atto motivato sulle istanze di trasferimento dei detenuti ed internati entro sessanta giorni dalla data della loro ricezione, cosa che molto spesso invece non accade.
L’ultimo comma del richiamato articolo è stato introdotto con d.lgs n. 123/2018, ed è particolarmente importante poiché, nel solco delle riforme del 2018, ha cercato di arginare la prassi penitenziaria di provvedere sulle istanze di trasferimento dopo diversi mesi dalla loro presentazione, dal momento che fino al 2018 non vi era nessuna norma di legge che imponesse un termine di risposta all’Amministrazione Penitenziaria. Trattasi comunque di un termine ordinatorio e non perentorio.
Per questo motivo, non di rado capita che il detenuto non ottenga alcuna risposta entro sessanta giorni dalla data di invio. In questi casi, a fronte di una palese inerzia dell’Amministrazione, il detenuto può presentare un sollecito scritto alla stessa autorità competente a provvedere sull’istanza. Occorre però tenere a mente che, in assenza di espresse previsioni normative, il sollecito rimane un rimedio estremamente informale e privo di tutela giurisdizionale, dal momento che l’organo o amministrazione sollecitata non ha nessun obbligo di rispondere entro un termine di legge, perciò anche questo potrebbe non produrre riscontri.
Data la quantità di istanze di trasferimento rimaste inevase nel corso del 2021, l’ufficio del Difensore Civico ha deciso di farsi portavoce delle numerose richieste e, anziché predisporre tanti solleciti singoli, si è ritenuto preferibile inviare all’Amministrazione Penitenziaria una nota in cui venivano segnalate le situazioni di diverse persone che, nel corso dell’anno, avevano richiesto più volte il trasferimento, senza mai ricevere riscontri.
A fronte di 26 posizioni sollecitate, l’Amministrazione ha provveduto a trasferire 11 detenuti ristretti in Media Sicurezza e 3 ristretti in regime di Alta Sicurezza
La scelta di riunire più situazioni omogenee in un’unica segnalazione è stata assunta proprio alla luce del fatto che, essendo il sollecito un rimedio privo di carattere giurisdizionale, non sempre risulta produttivo di risultato quando riguarda una sola persona, mentre un sollecito relativo alla posizione di più soggetti impone quantomeno una dovuta valutazione. A fronte di 26 posizioni sollecitate, l’Amministrazione ha provveduto a trasferire 11 detenuti ristretti in Media Sicurezza e 3 ristretti in regime di Alta Sicurezza, mentre per le restanti posizioni ci comunicava il rigetto motivato delle loro istanze.
Anche lo scorso anno si è presentata una situazione analoga, in quanto come detto le problematiche legate ai trasferimenti e alle mancate risposte alle istanze costituiscono quelle che il Difensore Civico affronta con maggiore frequenza. Pertanto, si è provveduto nuovamente a sollecitare l’Amministrazione con un’unica segnalazione comprendente più questioni singole, preso atto che lo strumento del sollecito “collettivo” si è rivelato particolarmente efficace.
Tuttavia, il sollecito non è l’unico strumento che i detenuti hanno a disposizione al fine di veder tutelato il proprio diritto alla territorialità della pena. Nei casi in cui i detenuti segnalino mancati riscontri anche a più solleciti scritti, un rimedio esperibile è senz’altro il reclamo giurisdizionale di cui all’art. 35 – bis O.P.; detto reclamo viene proposto dal detenuto (personalmente o tramite il suo difensore) al magistrato di sorveglianza, il quale è competente a decidere sui reclami concernenti l’inosservanza da parte dell’Amministrazione di disposizioni previste dalla normativa penitenziaria, qualora ne derivi per il detenuto o internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti.
Nel caso di accoglimento, il magistrato impone all’Amministrazione di porre rimedio al pregiudizio, intimando alla stessa un termine entro cui adempiere. Tale forma di tutela risulta particolarmente importante in quanto il procedimento che scaturisce dal reclamo è di natura giurisdizionale, poiché disciplinato dagli articoli 666 e 678 c.p.p. e dunque si svolge nelle forme tipiche del procedimento penale, nel rispetto del principio del contraddittorio.
Fra i tanti casi che ci sono stati segnalati nell’ultimo anno, ve ne sono alcuni di particolare rilievo, in quanto da un lato mettono in luce le problematiche di coloro che vorrebbero essere trasferiti in altri istituti, dall’altro evidenziano come il lavoro del Difensore Civico possa in taluni casi essere determinante per l’attivazione di alcuni diritti che altrimenti resterebbero privi di effettiva tutela.
Emblematico in tal senso è il caso di C., il quale ci ha contattato la prima volta nel 2021 quando era detenuto nella Casa Circondariale di Cagliari – Uta. Lo stesso ci riferiva di trovarsi in quell’istituto da Maggio 2019, per cui non vedeva i suoi figli minori da oltre due anni
Emblematico in tal senso è il caso di C., il quale ci ha contattato la prima volta nel 2021 quando era detenuto nella Casa Circondariale di Cagliari – Uta. Lo stesso ci riferiva di trovarsi in quell’istituto da Maggio 2019, per cui non vedeva i suoi figli minori da oltre due anni, in quanto troppo piccoli per fruire delle videochiamate Whatsapp ed impossibilitati a sostenere lunghi viaggi dal luogo di residenza (Calabria) fino a Cagliari. A fronte di questa prima richiesta, i volontari dell’Ufficio del Difensore Civico procedevano con la redazione di un’istanza di trasferimento per il sig. C., la quale tuttavia rimaneva inevasa. Proprio a causa di tale mancato riscontro da parte dell’Amministrazione, il caso di C. veniva segnalato nel sollecito collettivo inoltrato a Novembre 2021 e, anche grazie a questo, il ristretto otteneva un primo trasferimento provvisorio per la durata di due mesi presso la Casa Circondariale di Catanzaro.
All’esito di detto periodo, lo stesso tornava nell’istituto di pena sardo, ove però iniziava a manifestare uno stato depressivo sempre più acuto, accompagnato dall’insorgere di propositi suicidari causati da un grave lutto familiare avvenuto proprio mentre rientrava nella Casa Circondariale di Cagliari. Pertanto, vista questa sopravvenuta condizione, l’ufficio del Difensore Civico prendeva nuovamente in carico il caso nel 2022, elaborando una nuova istanza di trasferimento e sollecitando più volte il riavvicinamento del sig. C. al luogo di residenza dei suoi familiari, in quanto dalle relazioni mediche si evinceva che la causa principale di questo stato depressivo era proprio la lontananza dagli affetti e l’impossibilità di essere loro vicino in un momento di lutto. Grazie ai numerosi istanze e solleciti inviati, l’Amministrazione Penitenziaria prendeva atto dello stato psicofisico di C. e disponeva il suo trasferimento definitivo presso la Casa Circondariale di Catanzaro.
Un altro caso emblematico, afferente invece il diritto allo studio, riguarda la storia di P., il quale ci ha contattato la prima volta nel Novembre 2020, quando era detenuto nella Casa di Reclusione di Asti
Un altro caso emblematico, afferente invece il diritto allo studio, riguarda la storia di P., il quale ci ha contattato la prima volta nel Novembre 2020, quando era detenuto nella Casa di Reclusione di Asti. Lo stesso ci inviava dei documenti attestanti la sua iscrizione alla Facoltà di Scienze Politiche – avvenuta pochi anni prima quando era detenuto nella Casa Circondariale di Torino – e ci chiedeva aiuto per ottenere il trasferimento presso la Casa di Reclusione di Padova, in quanto ad Asti non c’era alcuna possibilità di frequentare le lezioni e sostenere gli esami universitari, con evidente pregiudizio per lo studente che, in ogni caso, pagava regolarmente le tasse di iscrizione.
Veniva quindi redatta una prima istanza di trasferimento, a cui però non seguiva alcuna risposta; pertanto, ad Ottobre del 2021 veniva inviato un sollecito al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Infine, stante l’inerzia dell’Amministrazione, nel 2022 il sig. P. tornava a contattarci, chiedendo di predisporre un modello di reclamo ai sensi dell’art. 35 – bis O.P. al fine di lamentare al Magistrato di Sorveglianza il mancato rispetto del suo diritto all’istruzione. Tuttavia, nelle more della predisposizione del reclamo, l’Amministrazione disponeva il trasferimento di P. presso l’istituto di Saluzzo, ove è attivo il Polo Universitario, sicché in questo modo – in parziale accoglimento della sua istanza – lo stesso ha potuto riprendere il suo percorso accademico.
La storia di P. in particolare mette in luce un aspetto poco considerato: il diritto allo studio intramurario non è solo uno degli elementi del trattamento rieducativo come previsto dalla normativa vigente, ma costituisce un valido strumento di reinserimento e proprio per questo, tra coloro che si ritrovano a dover scontare una pena detentiva, vi è chi decide di investire sulla propria istruzione, conscio del fatto che questo può rappresentare un’alternativa rispetto allo stile di vita precedente.
Ciò che maggiormente colpisce di tali richieste è l’incredibile aspettativa che i detenuti ripongono nell’accoglimento delle loro istanze, in quanto cambiare istituto può rappresentare una possibilità di radicale cambiamento delle proprie condizioni di vita
Nel corso di questi anni, i volontari del Difensore Civico si sono fatti carico di centinaia di istanze di trasferimento provenienti dagli istituti penitenziari di tutta Italia: ciò che maggiormente colpisce di tali richieste è l’incredibile aspettativa che i detenuti ripongono nell’accoglimento delle loro istanze, in quanto cambiare istituto può rappresentare una possibilità di radicale cambiamento delle proprie condizioni di vita, anche semplicemente recuperando i rapporti con i propri cari o partecipando ad attività che offrono una concreta prospettiva di reinserimento sociale.