Era il 14 luglio 2017 quando, con la Legge 110, è stato introdotto nel codice penale, con l’articolo 613 bis, il reato di tortura.
Da allora, non pochi detenuti si sono rivolti all’associazione Antigone per denunciare di essere stati vittime di azioni di violenza e alcune di queste segnalazioni sono divenute contestazioni del reato di tortura.
Sulla base dell’esperienza maturata è possibile fare alcune considerazioni relative allo sviluppo delle applicazioni del reato di tortura con riferimento particolare all’elemento della condotta.
Preliminare evidenziare che secondo la giurisprudenza delineatasi, il delitto di tortura viene riconosciuto quale reato a condotta eventualmente abituale in quanto può essere integrato da più condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un unico atto lesivo dell’incolumità o della libertà individuale e morale della vittima che comporti un trattamento inumano e degradante (Cass. 8973/2022 Sez.V, Cass. 47079/2019 Sez. V).
Inoltre, la locuzione “mediante più condotte” è riferibile ad una pluralità di episodi reiterati nel tempo ma anche ad una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo contesto cronologico.
Nei casi seguiti da Antigone, le condotte sono state poste in essere sempre da un numero più o meno rilevante di agenti di polizia penitenziaria i quali hanno partecipato attivamente alle violenze o vi hanno assistito.
Ritornerò più avanti sull’analisi della condotta dell’agente di polizia penitenziaria che “si limita” ad assistere alle azioni di violenza senza prendervi parte direttamente.
Il reato di tortura alla prova dei processi
L’analisi verterà sui processi che si sono svolti o che si stanno svolgendo per il reato di tortura in cui l’associazione è intervenuta con un esposto prima e poi con la costituzione di parte civile: il processo che si è celebrato davanti al Tribunale di Siena (fatti avvenuti presso la Casa di reclusione di San Gimignano l’11.10.2018), e i processi che si stanno celebrando davanti al Tribunale di Torino (fatti avvenuti presso la Casa circondariale “Lorusso Cotugno” di Torino tra agosto e novembre 2018) e davanti al Tribunale di Bari (fatti avvenuti presso la Casa circondariale di Bari il 27.4.2022).
“Perché non te ne torni al tuo paese”, “non ti muovere o ti strangolo”, “Ti ammazzo”; poi gli agenti lo rialzavano da terra e continuando a spingerlo per farlo camminare e poi nuovamente gettarlo a terra; mentre il detenuto si trovava a terra, due agenti lo immobilizzavano tenendolo per le braccia e per il collo mettendolo con la faccia a terra, un agente gli montava addosso con il suo peso e gli metteva un ginocchio sulla schiena all’altezza del rene sinistro
San Gimignano
Per i fatti avvenuti presso la Casa circondariale di San Gimignano l’11 ottobre 20181) a danno di un detenuto straniero, le condotte contestate sono state poste in essere da 15 agenti di polizia penitenziaria.
Come ricostruito nel capo di imputazione contestato dalla Procura di Siena, le condotte tenute dagli imputati sono state le seguenti: due agenti di polizia penitenziaria, attorniati dagli altri, cogliendo di sorpresa la vittima lo “prendevano per le braccia” mentre stava uscendo dalla cella per andare a fare la doccia e “lo spingevano brutalmente verso il corridoio facendogli anche perdere le ciabatte“; un agente gli sferrava “un pugno sulla testa“, gli altri agenti lo gettavano a terra circondandolo “in modo tale da creare una sorta di parziale schermo rispetto alle telecamere” e lo colpivano “con i piedi in varie parti del corpo“; lo minacciavano mentre il detenuto “gemeva e gridava per la violenza che stava ricevendo” e lo ingiuriavano con frasi del tipo “Figlio di puttana“, “Perché non te ne torni al tuo paese“, “non ti muovere o ti strangolo“, “Ti ammazzo“; poi gli agenti lo rialzavano da terra e continuando a spingerlo per farlo camminare e poi nuovamente gettarlo a terra; mentre il detenuto si trovava a terra, due agenti lo immobilizzavano tenendolo per le braccia e per il collo mettendolo con la faccia a terra, un agente gli montava addosso con il suo peso e gli metteva un ginocchio sulla schiena all’altezza del rene sinistro; gli agenti poi lo facevano rialzare da terra e gli toglievano i pantaloni per trascinarlo mentre un altro agente lo afferrava nuovamente per la gola ed un altro gli torceva un braccio dietro la schiena e lo trascinava verso la cella e continuava a picchiarlo con schiaffi e pugni dentro alla cella assieme ad altri cinque agenti; infine lasciavano il detenuto nella cella senza pantaloni e senza fornirgli coperte e il materasso fino al giorno seguente.
In questo caso, come ricostruito anche nella sentenza di condanna n.58/2021 Tribunale di Siena, si sono ritenute configurate le reiterate condotte di “violenze o minacce gravi” – “le condotte sono da considerarsi reiterate […] poiché nei confronti della persona offesa […] sono stati posti in essere più atti di violenza e minaccia […] consistenti nelle plurime aggressioni fisiche puntualmente emergenti dalla video-ripresa, idonee ad essere annoverate tra le “più condotte” previste per l’integrazione del reato di tortura”. -.
Nella valutazione relativa alla condotta, il Tribunale ha debitamente tenuto conto, in quanto indice “dell’astratta carica offensiva notevole“, anche del numero dei soggetti che ha agito, della condizione di minorità della vittima e del carattere imprevisto dell’azione.
L’elemento dell’agire con crudeltà è determinato dalla “inutilità” delle sofferenze inferte da cui si evince un livello di “riprovevolezza dell’agire particolarmente elevato“.2)
Torino
Per i fatti avvenuti presso la Casa circondariale “Lorusso Cotugno” di Torino, le condotte di tortura risultano contestate a 18 agenti di polizia penitenziaria e sono state commesse contro diversi detenuti.3)
Come anticipato, i fatti si sono sviluppati in un periodo di circa quattro mesi e le condotte del reato di tortura contestate sono le seguenti: un agente di polizia penitenziaria (assieme ad altri due non identificati) entrava nella cella di un detenuto e lo aggrediva “con violenti schiaffi in faccia e sul collo” contestualmente insultandolo chiamandolo “merda“; in seguito lo stesso agente, nel consegnare una lettera della fidanzata alla medesima vittima, la costringeva a dire ad alta voce “Sono un pezzo di merda“.
Sempre nell’arco della medesima giornata, lo stesso agente assieme ad altri due “lo costringevano a rimanere in piedi, nel corridoio della sezione cui era assegnato, con la faccia rivolta verso il muro per circa 40 minuti, insultandolo reiteratamente con espressioni quali “Pezzo di merda” e costringendolo a ripetere ad alta voce “Sono un pezzo di merda“.
Poco dopo, sempre nel corso della stessa giornata, i tre agenti conducevano il detenuto in una stanza e qui lo colpivano violentemente con schiaffi al volto e al collo e pugni sulla schiena.
In particolare, un agente “lo colpiva per primo con un violento schiaffo al volto“, un altro agente “lo colpiva con ripetuti schiaffi al volto e alla testa, indossando i guanti” ed il terzo agente “lo colpiva con violenti pugni alla schiena” e al fine di umiliarlo “lo costringeva a tornare in corridoio e a porsi nuovamente in piedi con la faccia rivolta verso il muro” al momento del passaggio di tutti gli altri detenuti della sezione che rientravano in cella.
In altre occasioni, gli stessi tre agenti di polizia penitenziaria assieme ad altri due eseguivano perquisizioni arbitrarie nella cella del detenuto gettandogli i vestiti per terra, strappando le mensole dal muro e spruzzando detersivo per piatti sul materasso e sui vestiti.
“Ti renderemo la vita molto dura, te la faremo pagare, ti faremo passare la voglia di stare qui dentro.”
In un’occasione, uno degli agenti lo minacciava dicendogli: “Ti renderemo la vita molto dura, te la faremo pagare, ti faremo passare la voglia di stare qui dentro.”
A tre agenti di polizia penitenziaria, in concorso con altri non identificati, viene contestato di aver commesso a danno di un detenuto quanto segue: il giorno dell’ingresso in carcere, due agenti, mentre conducevano il detenuto verso la cella salendo le scale “lo colpivano alle spalle con violenti e ripetuti schiaffi, pugni e calci” e intanto ridevano; uno di loro lo colpiva per primo poi un altro agente lo colpiva con un calcio a gamba tesa sul piede di appoggio provocandogli un forte dolore a causa del quale la vittima zoppicava per circa tre mesi, infine i tre agenti, nei primi giorni di detenzione, costringevano il detenuto a dormire sulla lastra di metallo della branda non consegnandogli il materasso, impedendogli di andare all’ora d’aria e dal medico.
Due agenti di polizia penitenziaria agivano con violenze gravi e crudeltà cagionando acute sofferenze fisiche ad un altro detenuto. In particolare, lo prelevavano di notte dalla cella e lo portavano attraverso le scale fino al piano terra dove lo colpivano con violenza facendolo cadere a terra una o due volte e quando il detenuto cercava di rialzarsi “lo colpivano ancora più forte con calci alle gambe facendolo sbattere contro il muro.” Un agente si toglieva la cinghia e lo colpiva con violenza sul braccio.
E ancora due agenti di polizia penitenziaria con violenze gravi e crudeltà cagionavano acute sofferenze fisiche ad un altro detenuto al momento dell’ingresso in carcere mentre lo portavano presso la sezione “lo colpivano violentemente con reiterati pugni e calci e in faccia con un bastoncino di legno.”
Altri due agenti di polizia penitenziaria agivano con violenze gravi e crudeltà nei confronti di un altro detenuto cagionandogli gravi sofferenze fisiche ossia, al momento dell’ingresso in carcere, mentre lo stavano conducendo presso la sezione “lo colpivano violentemente con reiterati pugni e schiaffi al capo e al volto, nonché con numerosi calci alle gambe.” Un agente inoltre gli schiacciava con forza il piede con il tallone provocandogli un dolore particolarmente acuto e mentre lo colpivano gli agenti gli dicevano “Per quello che hai fatto tu devi morire qua“.
I comportamenti umilianti e sadici contestati agli imputati risultano connotati da quel quid aggiuntivo di violenza brutale e gratuita.
Come evidenziato nell’ordinanza cautelare del 30.9.2019 anche lo schiaffo inferto al volto da parte di un rappresentante delle Forze dell’ordine ad un soggetto che si trova completamente sotto il suo controllo costituisce un grave attacco alla dignità personale “poiché il viso rappresenta la parte del corpo che esprime l’individualità della persona che manifesta la sua identità sociale e che costituisce il centro dei suoi sensi – la vista, la parola e l’udito – utilizzati per la comunicazione con gli altri.”
In questo senso certamente indicativa la sentenza della CEDU, Bouyd c. Belgio del 28.9.2015, che si è soffermata sulle motivazioni per cui uno schiaffo inferto da un rappresentante delle Forze dell’ordine possa costituire un trattamento inumano e degradante.
In questi casi, infatti, lo schiaffo, ha evidenziato la Corte EDU, costituisce un grave attacco alla dignità personale poiché il viso rappresenta la parte del corpo che esprime l’individualità della persona, che manifesta la sua identità sociale e che costituisce il centro dei suoi sensi: “uno schiaffo – per quanto isolato, non premeditato e privo di effetti gravi o duraturi sul corpo – può essere percepito come un’umiliazione dalla persona che lo riceve” in quanto evidenzia quella relazione di superiorità-inferiorità che per definizione caratterizza il rapporto tra l’autorità e l’individuo in custodia.
Veniva calciato alla schiena mentre gli tenevano ferme le gambe mettendosi di peso sui suoi piedi; un altro assistente, tenendo il detenuto per il bavero sinistro, lo faceva rovinare sul pavimento e con un piede cercava di tenerlo fermo infliggendogli calci dall’alto verso il basso e colpendolo sul torace sinistro
Bari
Per quanto concerne il procedimento pendente innanzi al Tribunale di Bari, il reato di tortura viene contestato a sei agenti di polizia penitenziaria4) i quali hanno agito nei confronti di un detenuto affetto da patologia psichiatrica, “quindi maggiormente vulnerabile“, al quale, secondo la contestazione, mentre era disteso sul pavimento in quanto fatto cadere volontariamente poco prima con calci sui glutei e schiaffi sul volto, veniva sottoposto “per circa quattro minuti a un trattamento inumano e degradante.”
In particolare, sempre secondo quanto contestato, queste le singole condotte tenute: un agente di polizia penitenziaria colpiva la vittima con numerosi schiaffi e calci e quando il detenuto cadeva sul pavimento per effetto della condotta dell’agente, veniva calciato alla schiena mentre gli tenevano ferme le gambe mettendosi di peso sui suoi piedi; un altro assistente, tenendo il detenuto per il bavero sinistro, lo faceva rovinare sul pavimento e con un piede cercava di tenerlo fermo infliggendogli calci dall’alto verso il basso e colpendolo sul torace sinistro inoltre lo calciava all’altezza del capo tanto che il detenuto cercava di proteggersi con le braccia; un altro assistente sferrava diversi calci contro la schiena del detenuto e, dall’alto verso il basso, contro il fianco destro e sinistro della vittima sferrandogli anche un violento calcio in pieno volto; un altro agente sferrava un calcio contro la schiena e un altro contro il braccio del detenuto; altri due agenti assistevano alla scena senza parteciparvi attivamente ma non impediva la condotta dei colleghi.
Anche nella contestazione avanzata dalla Procura di Bari torna la condotta tenuta dall’agente che assiste alle violenze senza prendervi direttamente parte.
Doveroso dunque ribadire che tale ipotesi rientra nel concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.) in cui, come noto, si distingue tra autori della condotta e i così detti ausiliatori i quali contribuiscono alla realizzazione del reato fornendo un apporto, un aiuto o un qualsiasi genere di contributo.
Anche la “mera” presenza contribuisce alla realizzazione dello stato di soppraffazione, paura e senso di annichilimento che la vittima subisce.
Sul punto, nel processo relativo ai fatti avvenuti presso la Casa di reclusione di San Gimignano, sopra citato, il Giudice ha così motivato: “Ognuno dei quattordici presenti dinanzi alla cella della persona offesa ha contribuito – con la sua presenza lì davanti, al momento dell’apertura della porta blindata e con la presenza durante tutto lo svolgimento del fatto […] – e nel momento itinerante successivo, ad integrare il fatto tipico, poiché la presenza stessa di tutte quelle persone è stato un elemento essenziale per realizzare il fatto tipico descritto dall’art. 613 bis c.p. che, nella sua pregnante e peculiare offensività, trova nel numero degli agenti presenti un irrinunciabile comportamento esteriore e commissivo che ha contribuito a realizzare la fattispecie.”
C’è chi rimane a guardare
Non è dunque necessaria ai fini del concorso di persone nel reato di cui all’art. 613 bis c.p. una condotta attiva alle violenze in quanto il concorrente può anche essere un “ausiliatore“, “determinatore” o “istigatore“.
In tal senso, risulta altresì interessante la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (sent. n.8973/2022) con riferimento ai fatti avvenuti presso la Casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere in data 6 aprile 2020.5)
Nella pronuncia viene analizzata la condotta nel reato di cui all’art. 613 bis c.p. tenuta dall’allora Comandante dell’istituto e non presente all’interno dell’istituto al momento dello svolgimento dei fatti.
I Giudici evidenziano che non può dirsi esclusa la partecipazione agli atti esecutivi di tortura sotto il profilo materiale con il contributo fornito prima e dopo ma anche con il contributo morale (di istigazione).
Questo in quanto, evidenzia la Suprema Corte, il concorso di cui all’art. 110 c.p. “è fondato sul modello c.d. di tipizzazione causale, alla stregua del quale tutte le condotte dotate di efficacia eziologica nei confronti dell’evento lesivo sono riconducibili alla fattispecie concorsuale, nell’ambito di tale quadro normativo, dunque, il concorso materiale non può essere limitato […] al solo autore, cioè a colui che compie gli atti esecutivi del reato […] ma è, evidentemente, esteso anche al c.d ausiliatore o complice), cioè colui che si limita ad apportare un qualsiasi aiuto materiale nella preparazione o nella esecuzione del rato; ulteriore rilievo assume, peraltro, il determinatore – che fa sorgere in altri un proposito criminoso prima inesistente – e l’istigatore – che si limiata a rafforzare o eccitare in altri un proposito criminoso già esistente – che integrano la fattispecie del concorso morale.”
Nell’analisi delle valutazioni della condotta del reato di tortura, merita un cenno il processo che si sta celebrando davanti al Tribunale di Monza, tra l’altro, per il reato di lesioni a carico di quattro agenti di polizia penitenziaria accusati di un episodio di violenza che, secondo quanto contestato, sarebbe stato commesso a danno di un detenuto.6)
Il fatto contestato è il seguente: i quattro imputati hanno cagionato lesioni personali consistite in un trauma contusivo orbitario bilaterale e nella rottura di un dente anteriore superiore, giudicate guaribili in complessivi giorni 17.
In particolare, mentre gli agenti stavano trasportando la vittima su una barella dall’ambulatorio della infermeria – ove era stato portato in quanto ormai da una settimana praticava lo sciopero della fame e della sete – alla cella nr.121 ubicata presso la sez. D “monitoraggio sanitario”, durante il tragitto un agente lo colpiva con ripetuti schiaffi e pugni al volto ed alla testa, mentre altri tre agenti agevolavano tale condotta, immobilizzando il detenuto tenendolo per le braccia e le gambe, per poi infine tutti farlo cadere dalla barella sul pavimento della cella n.121.
Nel corso delle indagini era stato ipotizzato originariamente anche il reato di cui all’art. 613 bis c.p. su cui, con ordinanza del 22 marzo 2021, è stata disposta in maniera definitiva l’archiviazione.
Secondo il Giudice, nel caso di specie, non si può ritenere configurato, tra l’altro, l’elemento della condotta in quanto trattasi di un reato “formalmente vincolato per le modalità della condotta” (violenze o minacce gravi, crudeltà) e non sono verificate condotte plurime o abituali bensì un unico episodio né, aggiunge il Giudice, il fatto ha comportato un trattamento inumano e degradante.
Antigone si opponeva alla richiesta di archiviazione evidenziando una serie di circostanze non debitamente analizzate dalla Procura e che avrebbero avuto necessità di un approfondimento investigativo: le condizioni di salute del detenuto particolarmente fragili nel giorno in cui si sono verificati i fatti (si trovava in sciopero della fame e della sete da circa 6 giorni e, proprio nel corso della mattinata dei fatti, lo stesso aveva accusato dei dolori alla schiena tanto che quando veniva prelevato dalla cella si trovava sdraiato accovacciato per terra “in posizione fetale” e gridava “aiuto aiuto” e, per questo, veniva condotto in barella dal medico; il trattamento riservato alla vittima dopo le violenze (il detenuto, che già si trovava nelle precarie condizioni di salute appena descritte, viene “buttato” nella cella 121 “sanguinante e urlante”); le condizioni della cella in cui il detenuto veniva portato (la vittima aveva riferito che nella cella ove era stato portato non vi erano né materasso né lenzuola e che nessun medico lo era andato a visitare ma che si erano limitati a portagli del ghiaccio “da mettere sull’occhio” “[…] dopo il pestaggio mi presero di peso e mi lanciarono all’interno della cella 21 in modalità (cella liscia) dopo mi tolsero tutti i vestiti, la 21 era senza materasso, cuscino, lenzuola, tavolo, sgabello, TV, li rimasi per 2 giorni.”; la privazione degli indumenti avvenuta, da quanto emerge dagli atti di indagine per due giorni, dal 3 al 5 agosto; in tal senso, dagli atti di indagine, deponevano le dichiarazioni della vittima e le dichiarazioni di un agente di polizia penitenziaria il quale ha ricordato che dentro la cella di destinazione il Manfredi “era completamente nudo”.
La rilevanza di tale circostanza al fine della violazione dell’art. 3 della Convenzione europea la troviamo evidenziata dalla stessa Corte EDU nella sentenza Cirino Renne c. Italia laddove ove i Giudici di Strasburgo hanno fatto riferimento alla circostanza della “privazione degli indumenti” quale “atto ulteriore gratuito” che ha comportato “sensazioni di umiliazione e svilimento”.
References
↑1 | Il procedimento si è sviluppato in due differenti processi. Il primo definito con rito abbreviato con sentenza n.58 del 17 febbraio 2021 con cui sono stati condannati dieci agenti di polizia penitenziaria per il reato di cui all’art.613 bis c.p. Il procedimento non è definitivo; il secondo procedimento definito con rito ordinario con sentenza del 9 marzo 2023 con cui cinque agenti di polizia penitenziaria sono stati condannati per il reato di cui all’art. 613 bis c.p. Devono uscire le motivazioni della sentenza. L’Associazione Antigone è costituita parte civle nel secondo dei due procedimenti. |
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↑2 | La Cassazione ha dato la seguente definizione del concetto di “agire con crudeltà“: in tema di tortura, la crudeltà della condotta si concretizza in presenza di “un comportamento eccedente rispetto alla normalità causale, che determina nella vittima sofferenze aggiuntiva ed esprime un atteggiamento interiore particolarmente riprovevole dell’autore del fatto“. (Cass. 50280/2019 Sez. V) |
↑3 | A maggio 2023, il processo si trova nella seguente fase: in data 20.04.2022 si è conclusa la fase dell’udienza preliminare con il rinvio a giudizio dei 18 agenti di polizia penitenziaria accusati di tortura mentre un agente sempre accusato di tortura ha deciso di procedere con il rito abbreviato e il 16 giugno c.a. dovrebbe essere emessa la sentenza. |
↑4 | Il processo si sta celebrando davanti al Tribunale di Bari ove il GUP ha disposto il rinvio a giudizio e la prima udienza dibattimentale è fissata al 21 giugno 2023. |
↑5 | Il processo si trova attualmente nella fase dibbatimentale davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Soltanto tre imputati hanno scelto di procedere con il rito abbreviato ed ancora non è stata pronunciata la sentenza. La sentenza della Suprema Corte di Cassazione citata si inserisce nella fase cautelare su ricorso presentato avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale delle libertà in data 27.07.2021. |
↑6 | Il processo si trova attualmente nella fase dibattimentale davanti al Tribunale di Monza e vede, tra gli altri imputati, 4 agenti di polizia penitenziaria per lesioni provocate a danno di un detenuto. L’Associazione Antigone è costituita parte civile. |